Di Francesco Belletti da Avvenire del 12/01/2022
Caro direttore, è giusto sostenere chi mette al mondo un figlio, anche se ha redditi alti? Lo stimolante intervento di Massimo Calvi sull’assegno unico ai Ferragnez (‘Avvenire’, 4 gennaio 2022; Avvenire.it: bit.ly/3HWWLmw ) intercetta un nervo scoperto da decenni del dibattito sulle politiche familiari nel nostro Paese. E come ricorda giustamente ‘Avvenire’, altri Paesi hanno risposto ‘sì’, senza particolari problemi, in modo anche molto convinto e con misure consistenti. Se i Ferragnez spostassero la residenza fiscale in Francia, avrebbero uno sconto fiscale di migliaia di euro. Parigi come Montecarlo: quest’ultima paradiso fiscale per i più ricchi (anche di tanti grandi sportivi italiani, non dimentichiamolo!), la Francia paradiso fiscale per chi mette al mondo figli… E se le nostre famiglie numerose spostassero il proprio domicilio fiscale in Francia come sarebbero da considerare?
Al di là dei paradossi, vorrei aggiungere un’altra interpretazione, speculare: si tratta di un vecchio pregiudizio assistenziale, duro a morire, secondo cui sono le famiglie povere, le meno istruite, a mettere al mondo i figli; soprattutto se superano la fatidica cifra di due. Quindi gli interventi assistenziali ‘devono’ impedire ai poveri di fare troppi figli: non avete le risorse economiche per mantenerli, siete degli irresponsabili! Così, anziché sostenere la natalità, la si punisce. E anche per questo – a mio modesto parere – i coefficienti familiari dell’Isee sono così avari verso i carichi familiari, e non fanno equità. Perché le politiche familiari sono sempre state considerate assistenziali, e i servizi socio-assistenziali non volevano ‘premiare’ i poveri che facevano tanti figli, ma volevano ‘educarli’ a non averne. Una visione paternalistica, punitiva nei confronti dei poveri, tuttora tristemente presente in tante parti politiche. In effetti l’attuale Isee valuta il costo dei figli in un modo molto più penalizzante rispetto ai criteri francesi – tanto per provare a imparare da chi fa meglio di noi, fuori dai nostri confini. Ma così – ancora una volta paradossalmente – rende povere le famiglie numerose. Si tratta di uno stereotipo, ovviamente, che può anche trovare ‘casi estremi’ che lo giustificano. Magari solo leggende metropolitane, ma anche credibili, come la storia di famiglie che mettevano al mondo i figli solo per ricevere il sussidio del Comune, oppure come quella delle ‘zingare’ sempre incinte per non essere arrestate (qui gli stereotipi si sprecano e diventano anche insultanti della dignità delle persone).
Però credo che nel profondo di tanti pseudo-progressisti questo pregiudizio pauperistico nei confronti dei poveri che fanno tanti figli sia ancora fortemente radicato. Se poi provassimo ad estendere questo stereotipo a livello internazionale, sono sicuro che molti radical-chic e altrettanti conservatori per nulla illuminati lo confermerebbero. La fame nel mondo? Colpa dei Paesi poveri, che fanno troppi figli, e che sono poveri proprio per questo! Così ci si mette il cuore in pace, e non ci si deve occupare della crescente disparità di risorse disponibili e consumate tra chi vive in Europa, negli Stati Uniti – nelle nostre città! – e chi vive a Nairobi o a Kampala. La perdurante carenza di vaccini contro il Covid-19 nei Paesi più poveri è solo l’ultimo di una lunga serie di esempi di questa crescente ingiustizia distributiva.
In breve: da un lato – come ricorda l’articolo di Calvi – le politiche familiari sono penalizzate da un pregiudizio negativo verso i ricchi, per cui i figli dei ricchi ‘non fanno la differenza’, e se li devono pagare loro (come qualsiasi bene di lusso). Dall’altro, permane un pregiudizio negativo contro ‘i poveri che fanno figli’: avere figli – e avere tanti figli ancora di più – rimane una scelta da marginali che va contrastata, altro che incentivata. Che fare allora? In fondo le classi più povere sono state definite anche col termine di ‘proletari’, cioè coloro che avevano i figli come unica ricchezza. Ma se davvero l’inverno demografico è un’emergenza epocale, che rischia di congelare un intero Paese e il suo futuro, è proprio il caso di riaffermare: ‘Proletari di tutto il mondo, unitevi!’. Magari non per una rivoluzione violenta – la storia ha ampiamente dimostrato che violenza genera violenza, soprattutto quando si hanno le migliori intenzioni – , ma per la costruzione di una società generativa, in cui accogliere una vita e mettere al mondo una persona sia un gesto di amore per la vita, per la comunità di cui si è parte e per il creato.