In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire (Mc 3,1 – 6)
E’ la quinta controversia che Gesù affronta riguardo all’obbligo del riposo del sabato. Gli avversari che spiano Gesù non sono nominati, ma si tratta di farisei (2,24), che alla fine si uniscono agli erodiani per ucciderlo (3,6). Questo scontro finale è il vertice del conflitto che si conclude con la condanna a morte di Gesù e determina il suo abbandono della sinagoga. Da allora avrebbe predicato all’aperto, lungo le rive del lago di Tiberiade. Questa controversia, come le altre, si conclude con un miracolo, ma in modo perentorio. Infatti gli avversari non aprono bocca, ma risulta evidente la loro intenzione aggressiva: stavano ad osservare se avesse guarito il malato per accusarlo. Essendo già stato ammonito nella precedente guarigione, dopo la seconda infrazione al riposo sabbatico si incorreva nella condanna a morte.
La scena è semplice: Gesù è nella sinagoga. In questa sinagoga c’è un uomo con la mano paralizzata. E’ sabato, e tutti fissano Gesù per vedere se guarirà o no quell’uomo in giorno di sabato. Gesù si accorge di tutti quegli occhi puntati e fa qualcosa di imprevedibile: Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Alzati, là nel mezzo!». Vuole correggere il loro punto focale. Essi lo osservano per aver di che accusarlo, invece Gesù mette al centro la sofferenza di quest’uomo, quasi a voler dire che la cosa che conta di più è quell’uomo e la sua disabilità: «Poi domandò loro: E’ permesso, in giorno di sabato, fare del bene o fare del male? Salvare una persona o ucciderla? Ma quelli tacevano». La domanda è semplice: cos’è più importante, il sabato o il dramma di una persona? Spontaneamente ci verrebbe da dire che la cosa più importante è quell’uomo, eppure non di rado noi perdiamo di vista il volto di chi ci sta accanto per difendere questioni di principio. Anche noi, che leggiamo ogni giorno il Vangelo, potremmo cadere nello stesso tranello: difendere giusti principi, oscurando il volto di persone concrete.
«Allora Gesù, guardatili tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza del loro cuore, disse all’uomo: “Stendi la mano!” Egli la stese, e la sua mano tornò sana». Non so se fa più male l’occasione persa o quello sguardo pieno di indignazione che Gesù riserva alla durezza dei cuori che ragionano così. Mi domando spesso se Gesù è Colui che fomenta le mie battaglie nel difenderlo, o è Colui che gode quando comincio a ragionare così, come Lui. Ciò non significa che i principi non servano, ma che non devono diventare un’idolatria che oscura la sofferenza concreta delle persone.
Ora quell’uomo può tornare a lavorare a piene mani e con grande gioia e libertà, avendo coscienza di lavorare per Qualcuno che a sua volta lavora per Lui. Se, come dice san Giovanni Crisostomo, Adamo nel Paradiso lavorava per la perfezione, il concetto va ben inteso. L’uomo non si migliora cercando di migliorare il metodo di lavoro, ma con l’amore. Lavora con maggior gioia e libertà chi ha coscienza di lavorare per qualcuno, che a sua volta lavora per lui. Nel lavoro spesso c’è competizione e concorrenza, e ognuno cerca di essere meglio dell’altro. Invece il cristiano, che ogni giorno lavora per Dio, fa esperienza che Dio lavora per lui. Allora il lavoro non è un peso e acquista onore presso Dio e presso gli uomini.