VI domenica del Tempo ordinario
«Beato te! Beati voi!». Sono espressioni del linguaggio popolare, semplici congratulazioni, spesso puramente formali. «Sii benedetto!» è già più significativo: significa un ringraziamento. E’ la forma più antica, perché le lingue semitiche antiche non avevano la parola corrispondente al termine “grazie” usato nell’italiano. Perciò benedicevano il donatore: «Sii benedetto tu, e la tua famiglia!».
Non erano parole vane, ma cariche di significato. Tutti temevano di essere maledetti da qualcuno.
Come la benedizione porta vita, così la maledizione porta la morte. Come Dio benedisse tutte le creature da lui fatte, così Cristo, che è venuto a rinnovare la terra, benedice e beatifica in modo solenne, nella forma di una preghiera. Matteo elenca otto beatitudini, in Luca ne abbiamo quattro, che sono però completate da un «guai», a chi non le osserva.
E’ una delle prediche più radicali di Gesù. Invita ad una profonda conversione. Ma sono una preghiera o un ammonimento morale? Spesso viene dimenticato il primo aspetto. Se accentuiamo il senso morale, sorge subito un senso di disagio, sentendoci lontani dalla sua realizzazione.
La prima delle beatitudini è la più importante, perché tutte sono riconducibili alla povertà:
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli». I poveri sono felici perché Dio sta dalla loro parte. Da una parte abbiamo il povero che pone la sua fiducia in Dio e dall’altra, Dio che, in un suo atteggiamento regale, si china verso il povero, verso chi è curvato. Potremmo anche tradurre «guai ai ricchi», come «infelici voi ricchi», perché il denaro ha ipnotizzato il loro sguardo: non vedono altro, affidano la loro sicurezza a ciò che è effimero e finiscono col vedere possibili imprevisti dovunque, temono il prossimo come possibile nemico, temono il futuro. Il denaro diventa un idolo a cui tutto deve essere sacrificato. Le prime parole che Gesù pronunciò all’inizio del suo ministero furono: «Il tempo è compiuto, convertitevi e credete al vangelo, il Regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). E’ come affermare: “chi crede in Me non tema nulla”, il tempo da ora in poi sarà foriero di grazia e anche il male prenderà le forme di una croce che sai portare. Il povero, dunque, è uno che si fida di Dio e non accetta che la morte tronchi questo legame vitale. Il povero, in sostanza, rifiuta la delusione. Il ricco, invece, che non allenta la presa sul gruzzolo, ha una vocazione irresistibile verso l’illusione. Si iIlude di raggiungere la pace. Il Regno, comunque prevede una preparazione morale, una penitenza, cioè la revisione della vita, quindi un cambio di rotta, indispensabile quando si è sbagliato strada. Comunemente si considerano beati i danarosi. Cristo, al contrario, beatifica i poveri. Il povero in spirito può essere ricchissimo in senso finanziario, ma usa tutto come un talento da investire, che Dio ha dato per compiere un certo bene. Allora sì che il denaro avvicina a Dio. Questa è autentica povertà spirituale.
Nella liturgia preghiamo quotidianamente per la pace, per la libertà. Cristo dice che sono beati coloro che sono perseguitati e dei quali si parla male (Mt 5,11). Nella storia ci sono stati tanti rivoluzionari, ma nessuno ha proposto un simile cambiamento di valori. San Paolo parla di «stoltezza della croce», ma ora, dopo tanti secoli, i cristiani seguono Cristo in questa direzione o soltanto la predicano? Pensando alla prima beatitudine, quante persone hanno vissuto la stessa povertà di san Francesco e hanno incontrato Dio nella sua quotidiana provvidenza? Nella storia della Chiesa constatiamo che le Beatitudini non sono un manifesto utopistico, quanto un programma di vita reale. D’altra parte, dobbiamo riconoscere oggettivamente che le Beatitudini non sono per tutti una norma di vita quotidiana. Anche i cristiani amano ridere e pregano che Dio li liberi dai persecutori.
Come rispondere a questa apparente contraddizione? Dobbiamo percuoterci il petto e confessare apertamente che non osserviamo ciò che Cristo ci ha detto? La morale cattolica parla in questi casi con prudenza: dice che non si tratta di comandamenti, ma di “consigli” per quelli che vogliono raggiungere una perfezione superiore. Ma non c’è così il pericolo di scusarsi per la propria negligenza? Per evitare discussioni sofistiche, è meglio ritornare a ciò che abbiamo detto all’inizio.
Vediamo nelle Beatitudini del Vangelo un programma morale o piuttosto una preghiera? Chi prega chiede che Dio lo benedica. Quando? In tutte le circostanze della sua vita, sia nel benessere che nella povertà, nei successi e nelle disgrazie, nella gioia e nella tristezza. Lui sempre ci assicura:
«Non temete, io sempre vi benedico, sono con voi anche nelle situazioni che il mondo chiama disgrazie. E siccome sono con voi vi dico che siete beati». Per avere questa fede, è utile recitare spesso le Beatitudini evangeliche come preghiera, affinché ci sia concesso l’atteggiamento spirituale che vi è contenuto. Le situazioni concrete delle Beatitudini arrivano spesso da sole, la Provvidenza le permette per provare e rafforzare la nostra fiducia nel Padre celeste, che dà ad ogni essere ciò di cui ha bisogno.
Domenica, 13 febbraio 2022