Da Avvenire del 17/02/2022
La Consulta ha bocciato la proposta di referendum per cancellare le pene per chi coltiva cannabis. L’avvocato Domenico Menorello, del comitato per il No, spiega così la soddisfazione di chi si è opposto al quesito: «Molte associazioni del laicato cattolico – ci dice – hanno deciso di prendere sul serio la sfida della pretesa legalizzazione della droga. Sfida che sembra ripetersi, senza sosta. Siamo infatti arrivati ben al quarto tentativo referendario per ottenerne una più o meno ampia liberalizzazione: 1981, 1992, 1996 e ora il referendum chiesto nell’ottobre 2021, sul quale si è svolta l’udienza avanti alla Corte costituzionale per il giudizio di ammissibilità. I promotori hanno chiesto di liberalizzare la ‘coltivazione’ non solo della cannabis, ma anche dell’oppio e della pianta da coca, nonché di eliminare la reclusione per lo spaccio di marijuana e hashish anche se in grandi quantità o a minorenni o, addirittura, presso le scuole.
Su quali basi giuridiche è nata la mobilitazione per il No?
Costituendo, per volere di un vasto nu- mero di associazioni, un ‘Comitato per il No alla droga legale’, presieduto dal professor Angelo Vescovi, scienziato di fama internazionale. In questa fase di verifica giuridica della proposta, abbiamo lavorato con un collegio di legali – quali Mauro Ronco, Mario Esposito, Francesco Cavallo – per evidenziare innanzitutto i vincoli internazionali che l’Italia si è impegnata a rispettare e sui quali l’art 75 della Costituzione vieta le procedure referendarie. Si tratta soprattutto delle Convenzioni internazionali di New York del 1961 e di Vienna del 1988, che impediscono ogni utilizzo non medicale degli stupefacenti, fra l’altro obbligando gli Stati firmatari a prevedere come reato anche la «coltivazione», nonché a combattere i fatti gravi di spaccio con pene detentive. Abbiamo, poi, evidenziato che le specifiche modalità con cui è stato formulato il quesito condurrebbero a effetti aberranti e gravissimi. In particolare, abbiamo dimostrato come liberalizzare la coltivazione di cannabis, oppio e coca unitamente alla eliminazione della possibile reclusione anche per grandi spacciatori, che pagherebbero una sola (e irrisoria) multa, significherebbe favorire il traffico illecito di stupefacenti. Così come non è nemmeno ipotizzabile che chi spaccia ai ragazzi, ai minori o presso le scuole non rischi neanche un giorno di reclusione.
La Corte Costituzionale sembra aver ritenuto valide le vostre obiezioni e argomentazioni. Temete comunque ancora una deriva criminale?
La sfida è ancora più essenziale. Infatti si continua a chiedere di legalizzare la droga, nonostante la stessa Convenzione di New York abbia riconosciuto «che la tossicomania è un flagello per l’individuo e costituisce un pericolo economico e sociale per l’umanità». Ogni droga allontana la realtà, consente una fuga. Accogliere e al tempo stesso non arrendersi a questa paura, acuita peraltro dal tempo della pandemia, è davvero una sfida appassionante. Occorre riaprire pubblicamente nel Paese, come nei rapporti più cari, un dialogo alto e appassionato sulla speranza di un senso per ognuno di noi, in qualunque circostanza, così da non aver più bisogno di scappare dalla vita. La dichiarata inammissibilità del referendum elimina un gravissimo pericolo per la popolazione italiana, ma non toglie la necessità di questa sfida.