Il Risorto secondo Tiziano nel Polittico Averoldi
di Michele Brambilla
Il pittore veneto Tiziano Vecellio (1488/90-1576) ricevette diverse commissioni dal prelato bresciano Altobello Averoldi (1468-1531), nunzio apostolico presso la Repubblica di Venezia. Fu costui a chiedere al grande artista veneziano di dipingere anche una pala per la collegiata dei SS. Nazaro e Celso in Brescia. Nacque così il celebre Polittico Averoldi.
L’opera, che impegnò Tiziano dal 1520 al 1522, si presta molto ad introdurre la grande Veglia pasquale, che stanotte risuonerà in tutte le chiese del mondo: originariamente concepita per celebrare san Sebastiano, la grande pala d’altare riassume in poche pennellate tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione nel grembo di Maria alla gloria della Risurrezione.
Al centro troviamo, infatti, proprio Gesù risorto, che brandisce lo stendardo della vittoria e si erge non solo sulla tomba, ma anche sulle nuvole (un riferimento apocalittico). La tomba è nascosta nell’oscurità. Anche i soldati a guardia del sepolcro sono avvolti nelle tenebre: uno di essi, barbuto, guarda la scena che si svolge sopra la sua testa, mentre dell’altro si comprendono solo i bagliori dell’armatura. Il soldato che alza lo sguardo verso Cristo è l’immagine di colui che accoglie la luce della Fede, ma anche del mistico che non teme di lasciarsi “inquietare” dal Mistero. L’atteggiamento del milite, infatti, è a metà tra lo spaventato e l’estatico.
Come nelle chiese al canto del Preconio pasquale, il mondo viene lentamente illuminato dall’alba del giorno radioso di Pasqua, che illumina di luce dorata le nuvole e le apre, facendo intravedere il cielo azzurro del mattino. La città sullo sfondo è sovrastata da una grande torre, chiara allusione al pinnacolo del Tempio nel Vangelo delle tentazioni (Mt 4,1-11), che avvia, come noto, la Quaresima. L’itinerario quaresimale, culminato nella Settimana Santa, sta per giungere al suo happy end, come canta il Preconio ambrosiano: «sciogliamo il nostro volontario digiuno: Cristo, nostro agnello pasquale, viene immolato per noi». Vecellio non disegna neanche una goccia di sangue sul corpo di Cristo e le piaghe della crocifissione si intuiscono appena, specie quelle dei piedi, come se fossero state anch’esse assorbite dal completo svolgimento del sacrificio redentore. Il volto di Gesù è sereno, compiaciuto, quasi malinconico; la mano sinistra (per chi guarda la destra) si protende in un gesto che ricorda un po’ quello degli attori quando escono dal sipario per ricevere gli applausi.
Proseguendo con la metafora teatrale, Tiziano inserisce nei riquadri superiori il momento in cui il Verbo coeterno al Padre è “entrato in scena”: l’Annunciazione. A sinistra troviamo l’angelo, che srotola le parole «Ave gratia plena». A destra si scorge, ovviamente, la Madonna: una Vergine molto semplice, molto realistica, soave nei tratti, con i capelli raccolti sotto una cuffietta da contadina, la mano affusolata sul petto e un drappo solenne alle spalle, ad indicare la dignità regale di Maria. Dio è entrato nel mondo per fare la volontà del Padre, fino in fondo, riepilogando in Sé tutte le cose, affinché l’onta del peccato originale fosse lavata e la vita eterna restituita agli uomini.
I due riquadri inferiori mostrano, da una parte, il nunzio Averoldi in compagnia di san Giorgio, che indica il Risorto, dall’altra san Sebastiano. I santi non presentano l’aureola: sono dipinti come esseri viventi, uomini come noi, che hanno raggiunto a loro volta la gloria seguendo il Maestro e continuano a camminare in mezzo ai viventi, propiziando quel tesoro di Grazia che la Chiesa ha ricevuto proprio dalla Pasqua di Cristo e amministra fedelmente.
Sabato, 16 aprile 2022