Qualche proposta per andare al cinema con gli occhi dello Spirito
di Luca Finatti
Nel libro degli Esercizi Spirituali[1] di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), al n. 65, l’esercitante viene invitato a contemplare l’Inferno, addirittura a immaginare di entrarvi, eccitando i sensi per dare forma a un’immagine interiore di questo luogo, che possa spingere il credente a pentirsi del male compiuto e così rifuggire il peccato. In fondo viene chiesto di meditare la propria morte, al cospetto del Giudice eterno, esercizio quanto mai prezioso in questi giorni di Quaresima e di strazio per tutte le immagini funebri che esondano dagli schermi di ogni genere e sommergono, a volte, ogni nostra capacità di giudizio.
Da sempre l’arte, oltre alla preghiera, ci può venire in aiuto per dare un significato all’informe che ci assale.
Anche il cinema può servire da antidoto alla bulimia di immagini violente che generano indifferenza, aiutandoci a pensare e a dare un senso alla nostra morte, attraverso quella dei personaggi raccontati.
Propongo dunque una veloce carrellata su alcuni film che, in quanto a stile e intensità espressiva, potrebbero essere un buon viatico per riflettere e meditare. Ad esempio, ancora in sala in questi giorni, ce ne sono due, distanti per stile e argomento, ma accomunati dalla stessa città in cui si svolgono le vicende: Belfast.
Il film più recente, intitolato appunto Belfast (2021), ègirato in bianco e nero ed è ispirato ad alcuni ricordi d’infanzia del regista Kenneth Branagh: nell’agosto del 1969 il bambino protagonista, Buddy, di famiglia protestante, scopre improvvisamente che avrebbe dovuto considerare come nemici i bambini cattolici con cui aveva giocato in strada fino ad allora.
Costretto ad assistere alle violenze dei lealisti protestanti, viene preservato dall’odio grazie all’insegnamento dei genitori e dei nonni paterni, che non condividono le aggressioni e che decideranno di emigrare piuttosto che essere coinvolti nelle faide religiose.
In realtà nella storia la politica sta sullo sfondo, onnipresente è lo sguardo spigliato del bambino che s’insinua nella vita dei grandi, cerca di capire e soprattutto impara ad amare.
Un film che sprizza vita da ogni inquadratura, anche se la conclusione si vela di tristezza a causa della morte del nonno. Amato e stimato dal nipote, la dipartita finale è narrata con la naturalezza e la speranza della fede, mentre lo sguardo del bimbo sulla bara fa capire che ora lui è più forte, oltre che consapevole della necessità di abbandonare la patria.
Sempre a Belfast è stato girato Nowhere special – Una storia d’amore (2020) del produttore e regista italiano Uberto Pasolini, da decenni ormai residente in Inghilterra, dove, nel 2017, lesse sul Daily Mail di un giovane lavavetri single, malato terminale di cancro, alla ricerca di una famiglia a cui lasciare in adozione il figlio di quattro anni.
La notizia diventa il soggetto per un film a poco a poco lievitato con la sapienza di chi ha bisogno di entrare nella storia delicatamente, trovando il tono adeguato, che non spettacolarizzi il dolore, ma che permetta di farsi alcune domande fondamentali.
Come si fa a scegliere la famiglia ‘giusta’ a cui affidare il proprio figlio? Come si può parlare della propria morte imminente a un bambino? Come imparare l’umiltà necessaria per chiedere aiuto invece di cadere nella disperazione?
La bellezza sconvolgente di questo film dipende anche dal fatto che il regista prova a dare delle risposte, anzitutto con lo stile asciutto del documentarista che segue padre e bimbo nella loro ricerca, senza giudicare le famiglie imperfette incontrate, ma poi facendo svettare la forza e l’amore paterno, impegnati in una cerebrale quanto appassionata partita a scacchi con la morte, in attesa che la risposta vera si riveli.
Se in queste due opere viene messo in scena soprattutto lo spazio intimo e morale dei protagonisti, ci sono altri due film, abbastanza recenti, che, sempre rappresentando l’esperienza incombente della morte, ci possono dare alcune chiavi di lettura delle quotidiane immagini funebri che ci provengono dalla guerra in Ucraina, in una prospettiva storica e spirituale, non soltanto cronachistica.
L’ombra di Stalin (2019) della regista Agnieszka Holland, nonostante abbia alcune pecche di sceneggiatura e di ritmo, ha il merito civile di ricordare l’orrore dell’holodomor[2], termine ucraino per indicare il genocidio per fame di oltre sei milioni di persone, perpetrato dal regime sovietico, a danno della popolazione ucraina negli anni 1932-1933, attraverso la requisizione di tutta la produzione agricola e delle derrate alimentari per piegare gli abitanti del paese alla politica della collettivizzazione forzata.
In questo modo un paese agricolo, noto come il ‘granaio d’Europa’, venne messo in condizioni di non riuscire più a sfamare neppure i suoi abitanti, che morirono per inedia, epidemie, cannibalismo e suicidi.
Nel 2003, in occasione del 70° anniversario delle tristi vicende dell’holodomor, san Giovanni Paolo II (1920-2005) inviò un messaggio alla chiesa ucraina: “milioni di persone hanno subito una morte atroce per la nefasta efficacia di un’ideologia che, lungo tutto il XX secolo, ha causato sofferenze e lutti in molte parti del mondo. Per tale ragione […] intendo rendermi spiritualmente presente alle celebrazioni che si terranno nel ricordo delle innumerevoli vittime della grande carestia provocata in Ucraina durante il regime comunista. Si trattò di un disumano disegno attuato con fredda determinazione dai detentori del potere in quell’epoca.[…] Le celebrazioni previste, destinate a rinsaldare il giusto amore per la Patria nel ricordo del sacrificio dei suoi figli, non sono rivolte contro altre Nazioni, ma intendono piuttosto ravvivare nell’animo di ciascuno il senso della dignità di ogni persona, a qualunque popolo essa appartenga”.
Il film è ispirato alla vita del giornalista gallese Gareth Richard Vaughan Jones (1905-1935) che, per primo, comprese e denunciò il criminale progetto politico, dopo essere riuscito ad arrivare in modo rocambolesco in Ucraina nel 1933 ed aver visto cosa stava accadendo.
Le sequenze della tragica carestia sono particolarmente efficaci nel descrivere la morte onnipresente in ogni aspetto del paesaggio umano e naturale, mentre l’unica speranza risiede nel desiderio del protagonista di svelare la verità al mondo, affinché si condanni un’ideologia in quegli anni ancora poco conosciuta nelle sue radici più perverse.
Concludo questo percorso con un film russo del 2006, L’isola[3] di Pavel Lungin, regista divenuto famoso all’inizio del millennio grazie ad alcuni interessanti film che descrivevano il disfacimento della società post-sovietica e l’ascesa degli oligarchi.
In questo lavoro Lungin cambia completamente registro stilistico e compone un affascinante ritratto della vita di padre Anatolij, monaco converso di un monastero ortodosso situato in un’imprecisata isola.
La prima sequenza si svolge nel 1942: un marinaio russo, catturato dai nazisti, è costretto a uccidere il suo capitano perché minacciato di morte dai tedeschi.
Il resto della storia invece viene ambientato trent’anni dopo, nel 1976, quando si scopre che il marinaio, dopo quell’episodio, ha passato tutta la sua vita in monastero, in un’abitazione poverissima, lontano dai confratelli, con il compito essenziale di controllare il funzionamento della caldaia a carbone.
Padre Anatolij ha fama di santità, la gente accorre perché si dice compia miracoli; lui è tormentato dal senso di colpa per l’omicidio del passato e si comporta come un ‘folle di Dio’, cioè con una apocalittica e a volte violenta franchezza, necessaria affinché, chi lo cerca, si renda conto del proprio peccato e lui stesso non cada nella tentazione della superbia.
In una delle scene più belle del film, il monaco medita e attende la morte, sdraiandosi dentro la cassapanca adibita a bara, perché non si ritiene degno di avere una sepoltura come gli altri.
Siamo di fronte a un’opera d’arte in cui la rappresentazione dell’anima russa, nelle sue contraddizioni e nei suoi furori mistici, non è tanto retorica nazionalista o etnica, ma autentica ricerca di Cristo, nel sacrificio di sé e nella preghiera, attraverso una raffinata regia contemplativa e una sceneggiatura ispirata a una storia vera.
Infatti l’attore protagonista, Pyotr Mamonov (1951-2021), un ex musicista celebre ai tempi del suo gruppo rock Zvuki mu, interprete anche del primo film di Lungin, Taxi Blues, nel 1996 si convertì al cristianesimo Ortodosso e decise di vivere da eremita nel villaggio di Reviakino.
Quando Lungin lo seppe, si recò da lui per proporgli di scrivere insieme la sceneggiatura per un film che, a detta del regista, avrebbe dovuto essere la testimonianza del “fatto che Dio esiste”.
In una delle rare interviste concesse, ha detto così a chi gli chiedeva il senso dell’espiazione tanto sofferta del protagonista, vicenda evidentemente con tratti autobiografici: “Le rispondo con una citazione. Efrem il Siro disse nel IV secolo: «La chiesa è un’assemblea di peccatori che si pentono». Ecco cos’è la chiesa. Tutti i nostri peccati in un oceano di misericordia divina fanno un granello di sabbia. Il Signore accoglie tutti e perdona tutti: gli assassini, le persone più spaventose, se soltanto il nostro cuore si rivolge totalmente a lui. Nella vita ciò accade spesso e vicinissimo a noi. È successo a me, a colui che è di fronte a lei. Ecco la ragione della mia certezza quando ne parlo. Facevo un sacco di scemenze e poi il mio cuore si è completamente rivolto a Dio. Il Signore mi ha perdonato tutto e mi ha ricoperto del suo amore. Poi, disarmato, stupefatto, mi sono fermato”[4].
Sabato, 26 marzo 2022
[1] Cfr. Pietro Cantoni, Il viaggio dell’anima. Commentario teologico – spirituale al libro degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, D’Ettoris Editori, Crotone, 2018, pp. 110-137.
[2] cfr. Stéphane Courtois, Nicolas Werth, Jean-Louis Panné, Andrzej Paczkowski, Karel Bartosek e Jean-Louis Margolin, Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore e repressione, trad. it., Mondadori, Milano 2000, pp. 147-156.
[3] Il film è visibile gratuitamente qui, pagina consultata il 19/3/2022.
[4] L’intervista completa si trova qui, pagina consultata il 19/3/2022.