Da Avvenire del 26/03/2022
Non ha nascosto la sua sorpresa il Papa, vedendo arrivare ieri mattina in udienza i partecipanti al 32° Corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica. «Davvero numerosi: circa ottocento chierici! Questo è un buon segno, perché oggi una mentalità diffusa stenta a comprendere la dimensione soprannaturale, o persino vorrebbe negarla». Dopo il ringraziamento ai vertici del dicastero, in particolare al Penitenziere maggiore, il cardinale Mauro Piacenza, dopo aver invitato i presenti a “ripassare” la Nota sul foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, pubblicata dalla Penitenzieria Apostolica nel 2019, Francesco è quindi entrato in media res. «In una recente intervista, con un’espressione inconsueta, ho affermato che “il perdono è un diritto umano”. In effetti, esso è ciò a cui più profondamente anela il cuore di ogni uomo, perché, in fondo, essere perdonati significa essere amati per quello che siamo, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati. E il perdono è un “diritto” nel senso che Dio, nel mistero pasquale di Cristo, lo ha donato in modo totale e irreversibile ad ogni uomo disponibile ad accoglierlo, con cuore umile e pentito. Dispensando generosamente il perdono di Dio, noi confessori collaboriamo alla guarigione degli uomini e del mondo; cooperiamo alla realizzazione di quell’amore e di quella pace a cui ogni cuore umano anela tanto intensamente; contribuiamo, permettetemi la parola, a una “ecologia” spirituale del mondo».
Come suo solito, il Papa ha poi scelto tre parole chiave per strutturare la sua riflessione: accoglienza, ascolto, accompagnamento.
Sulla prima: «L’accoglienza dev’essere la prima caratteristica del confessore» ha sottolineato Bergoglio, «è quella che aiuta il penitente ad accostarsi al sacramento con lo spirito giusto, a non stare ripiegato su sé stesso e il proprio peccato, ma ad aprirsi alla paternità di Dio, al dono della grazia». Ed è la caratteristica del confessore che «vive la sua paternità, come il padre del figlio prodigo, pieno di gioia per il ritorno del figlio».
Ascoltare vuol dire invece «devono lasciare i propri pensieri, i propri schemi, per aprire davvero la mente e il cuore all’ascolto». Perché «se, mentre l’altro parla, tu stai già pensando a cosa dire, a cosa rispondere, allora tu non stai ascoltando lui o lei, ma te stesso. In alcune confessioni, non si deve dire nulla o quasi – intendo come consiglio o esortazione – ma solo si deve ascoltare e perdonare». Ancora: «L’ascolto implica una sorta di svuotamento: svuotarmi del mio io per accogliere l’altro. È un atto di fede nella potenza di Dio e nel compito che il Signore ci ha affidato». Quindi una sottolineatura rivolta a quanti dimenticano che si trovano di fronte a persone che compiono un gesto straordinario, il mettere a nudo il proprio cuore, che esige un atteggiamento altrettanto straordinario: «Solo per fede i fratelli e le sorelle aprono al confessore il loro cuore; quindi, hanno il diritto di essere ascoltati con fede, e con quella carità che il Padre riserva ai figli. E questo genera gioia!».
Sulla terza parola chiave: «Il confessore non decide al posto del fedele, non è il padrone della coscienza dell’altro. Il confessore, semplicemente, accompagna, con tutta la prudenza, il discernimento e la carità di cui è capace, al riconoscimento della verità e della volontà di Dio nella concreta esperienza del penitente. È sempre necessario distinguere il colloquio della confessione vera e propria, vincolato dal sigillo, dal dialogo di accompagnamento spirituale, riservato anch’esso, seppure in forma differente ». Inoltre, «per quanto breve possa essere il colloquio della confessione, da pochi dettagli si comprende già quali siano i bisogni del fratello o della sorella: ad essi siamo chiamati a rispondere, accompagnando soprattutto alla comprensione e all’accoglienza della volontà di Dio, che è sempre la via del bene più grande, la via della gioia e della pace».
Infine una raccomandazione, «abitate volentieri il confessionale », ricordando che le parole «Io ti assolvo dai tuoi peccati», significano anche «tu, fratello, sorella, sei prezioso, preziosa per Dio; è un bene che tu ci sia. E questa è una potentissima medicina per l’anima, e anche per la psiche di tutti».
Francesco ha poi fatto riferimento a un appuntamento che lentamente si avvicina, il Giubileo del 2025, invitando la Penitenzieria Apostolica – «alla cui cura è affidato, per così dire, il nucleo profondo di ogni Giubileo» – a prepararsi insieme agli altri dicasteri vaticani, attingendo anche alla creatività dello Spirito Santo, «perché la misericordia di Dio possa giungere ovunque e a tutti: perdono e indulgenza!».