Il Papa traccia una lettura agostiniana (e ignaziana) della Passione del Signore
di Michele Brambilla
La mattina del 10 aprile Papa Francesco celebra in piazza S. Pietro la Messa della Domenica delle Palme. Nell’omelia spiega che «sul Calvario si scontrano due mentalità. Nel Vangelo, infatti, le parole di Gesù crocifisso si contrappongono a quelle dei suoi crocifissori». Da una parte abbiamo l’amore di Dio, che giunge al “disprezzo” di Sé per liberare dal peccato le sue creature, dall’altra l’amore di sé fino al disprezzo di Dio, come scrisse sant’Agostino d’Ippona (354-430) e come riecheggiò, molti secoli dopo, sant’Ignazio di Loyola (1491-1556).
«Salvare se stessi, badare a se stessi, pensare a se stessi; non ad altri, ma solo alla propria salute, al proprio successo, ai propri interessi; all’avere, al potere, all’apparire. Salva te stesso: è il ritornello dell’umanità che ha crocifisso il Signore. Pensiamoci» e riflettiamo se non siano le voci a cui, molto spesso, diamo maggiore credito anche noi. Gesù fa l’opposto: si preoccupa anzitutto dell’anima del “buon ladrone” e di chi gli sta intorno, chiedendone il perdono al Padre.
«Soffermiamoci su queste parole. Quando le dice il Signore? In un momento specifico», osserva il Papa, ovvero «durante la crocifissione, quando sente i chiodi trafiggergli i polsi e i piedi. Proviamo a immaginare il dolore lancinante che ciò provocava. Lì, nel dolore fisico più acuto della passione, Cristo chiede perdono per chi lo sta trapassando. In quei momenti verrebbe solo da gridare tutta la propria rabbia e sofferenza; invece Gesù dice: Padre, perdona loro. Diversamente da altri martiri, di cui racconta la Bibbia (cfr 2 Mac 7,18-19), non rimprovera i carnefici e non minaccia castighi in nome di Dio, ma prega per i malvagi. Affisso al patibolo dell’umiliazione, aumenta l’intensità del dono, che diventa per-dono».
Allora, «fratelli, sorelle, pensiamo che Dio fa così anche con noi: quando gli provochiamo dolore con le nostre azioni, Egli soffre e ha un solo desiderio: poterci perdonare. Per renderci conto di questo, guardiamo il Crocifisso. È dalle sue piaghe, da quei fori di dolore provocati dai nostri chiodi che scaturisce il perdono. Guardiamo Gesù in croce e pensiamo che non abbiamo mai ricevuto parole più buone: Padre, perdona. Guardiamo Gesù in croce e vediamo che non abbiamo mai ricevuto uno sguardo più tenero e compassionevole. Guardiamo Gesù in croce e capiamo che non abbiamo mai ricevuto un abbraccio più amorevole. Guardiamo il Crocifisso e diciamo: “Grazie Gesù: mi ami e mi perdoni sempre, anche quando faccio fatica ad amarmi e perdonarmi”». Un esercizio spirituale proposto soprattutto nella Settimana Santa.
Gesù fa di più, «non si mette contro di noi, ma per noi contro il nostro peccato. Ed è interessante l’argomento che utilizza: perché non sanno, quell’ignoranza del cuore che abbiamo tutti noi peccatori. Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli», come sta accadendo in Ucraina. «Il buon ladrone accoglie Dio mentre la vita sta per finire e così la sua vita inizia di nuovo; nell’inferno del mondo vede aprirsi il Paradiso», rimarca il Pontefice.
«Fratelli, sorelle, in questa settimana», insiste, «accogliamo la certezza che Dio può perdonare ogni peccato. Dio perdona tutti, può perdonare ogni distanza, mutare ogni pianto in danza (cfr Sal 30,12); la certezza che con Cristo c’è sempre posto per ognuno; che con Gesù non è mai finita, non è mai troppo tardi».
Lunedì, 11 aprile 2022