Domenica di Pasqua
(At 10, 34.37-43;Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9)
Si può “provare” la resurrezione? La parola “provare” può avere un duplice significato: quello di offrire prove a sostegno di qualcuno o qualcosa e quello di sperimentare. Nel primo senso la resurrezione non si può provare. I Vangeli non si preoccupano di portare prove definitive a favore della resurrezione, lasciano che essa sia avvolta da un velo di discrezione e di pudore. Ciò perché la resurrezione non vuole imporsi con la forza, ma fa appello alla fede. E la fede ha sempre un carattere di umiltà, sia nel suo sorgere che nel suo comunicarsi, perché è sempre un fatto d’amore. Se proclamassi la fede in modo trionfalistico, ne sarebbero tutti scandalizzati.
Ma quando nasce una fede che sia umile e tenace? E’ interessante seguire il racconto pasquale che presenta il Vangelo di Giovanni, il quale, una volta entrato nel sepolcro, «vide e credette». Ma cosa avrebbe visto Giovanni, se non una tomba vuota? Nient’altro che un’assenza.
Se ha creduto, vuol dire che la sua fede è nata da una visione non sensibile, ma interiore. La fede è un’adesione dettata da un’intuizione del cuore, che sa cogliere l’importanza di certi segni (come il sudario e le bende, piegati nella tomba) che altrimenti passerebbero per insignificanti. Ciò è molto chiaro nella figura successiva del racconto, che è Maria di Magdala. Maria si accorge della presenza di qualcuno accanto al sepolcro e si volta per vedere chi possa essere, e vede una figura d’uomo che pensò fosse il giardiniere. Ma poiché il testo dice che Maria si è voltata una seconda volta verso di lui, e allora riconobbe il Maestro, viene da chiedersi il perché di questo secondo movimento, quando era già rivolta verso l’interlocutore. I secondo viene interpretato come il movimento interiore del cuore, che ora riconosce il Risorto. Prima Maria era legata all’esperienza dei sensi. La ragione che l’aveva spinta alla tomba era di piangere su un corpo morto e di compiere gesti suggeriti dalla pietà. Ora, invece, per questo “voltarsi” che avviene nella profondità del suo essere, può riconoscere nelle apparenze di un giardiniere la presenza di Gesù. La fede è questo aprirsi degli occhi suscitato dall’amore, da un nome («Maria!») pronunciato con particolare tenerezza.
E che si tratti di fede lo dimostra anche il fatto che Maria, quando fa il gesto di abbracciare i piedi di Gesù, si sente dire: «Non mi toccare», o meglio sarebbe: «cessa di toccarmi». Non è più il tempo della presenza sensibile di Gesù, ma quello della fede. Incomincia il tempo in cui Gesù si rende presente in modo soprasensibile, nel cuore stesso della nostra esistenza quotidiana. Chi è capace di credere senza vedere, in virtù di quel “voltarsi” interiore che segna il passaggio dalla certezza dei sensi alla certezza del cuore? Forse si è ancora all’inizio di un cammino, come dovevano essere Pietro e Giovanni quando sono corsi al sepolcro di Gesù. Se Maria di Magdala e le altre donne non erano credibili, perché mettersi a correre? Quella corsa tradisce una situazione confusa, di chi, pur non aspettandosi nulla di nuovo, custodisce una vaga, residua speranza.
Non è ancora fede, ma è pur sempre qualcosa di indefinibile che potrebbe lontanamente predisporre alla fede. Non è molto diversa la situazione per diversi uomini d’oggi. Quel “qualcosa” di cui si diceva è come un piccolo seme sepolto e per lo più dimenticato. Ma succede talvolta che cominci a scuotersi, a farsi sentire, a dare segni di vita, a suscitare questa domanda: «E se fosse tutto vero? Se Gesù fosse veramente risorto?». Non si tratterebbe ancora di fede, ma di una specie di inquietudine fatta di perplessità e al tempo stesso di disponibilità.
Quando diventa vera fede? Quando il credere diventa esperienza, e l’esperienza diventa testimonianza. La fede incomincia, umilmente, quando non si pretende di avere le prove della risurrezione, ma si desidera “provarla”, cioè viverla per diventare poi testimoni credibili, come sono apparsi i discepoli. Si è veri credenti quando si sente la passione di dire a tutti: «Io credo che Cristo è risorto. Credo perché lo sento vivo nella mia vita. Credo perché godo del suo perdono che mi fa riprendere il cammino con rinnovata fiducia. Credo perché mi dona il suo amore che mi scioglie dalle false gioie dell’egoismo. Credo perché mi aiuta a vincere tutti i miei mali, anche quello della morte. Credo perché mi chiama per nome, come ha fatto con Maria di Magdala. E’ il mio nome. E’ il tuo nome, perché anche per te il Signore è in attesa, presso la tomba vuota».
Domenica, 17 aprile 2022