Di Giulio Meotti da Il Foglio dell’11/05/2022
Roma. “Il tasso di natalità potrebbe essere la più grande minaccia per il futuro della nostra civiltà”, ha detto questa settimana il boss di Tesla, Elon Musk, al ceo di Axel Springer, Mathias Döpfner. Eppure, il tasso di natalità in Germania è salito al livello più alto dal 1997. I dati preliminari suggeriscono che nel 2021 sono nati 795.500 bambini.
Forse allora Musk avrebbe dovuto dirlo a un ceo italiano. Bastava leggere Roberto Volpi, che nel libro Gli ultimi italiani (Solferino) racconta un suicidio che si prepara da una quarantina d’anni e che si sta velocemente avvicinando al momento fatale. “Gli italiani non sembrano preoccuparsi troppo della fine che farà la popolazione italiana: se declinerà, se si estinguerà. Il declino è sicuro ed è già nelle cose. Per l’estinzione si vedrà, ci stiamo lavorando”. Gli italiani, nel 2020 60 milioni, nel 2070 saranno 47,6 milioni, 12,1 in meno. A fine secolo, non supereranno i 40 milioni, forse 30 milioni, se le nascite saranno attorno alla soglia attuale di 400 mila all’anno. Da qui al 2070, il nord perderà 3,3 milioni di abitanti (il 12 per cento), il centro 2,1 (18 per cento) e il sud più di 6,6 milioni, uno spaventoso 33 per cento in meno rispetto a oggi. “Si arriverà fino a uno sbilanciamento annuo monstre tra le nascite, che scenderanno a 350 mila, e le morti, che supereranno le 830 mila, mezzo milione di morti all’anno più delle nascite”, scrive Volpi. “Moriamo senza accorgercene. Ma il viaggiatore della fine del secolo sì che se ne accorgerà, e si chiederà se davvero non ci fosse modo di evitare questo fallimento demografico, umano, antropologico. Di civiltà”.
Volpi parla di una “consunzione e svuotamento” della società italiana. “La famiglia italiana è in uno stato di debolezza e fragilità tali da non potersi considerare uno strumento capace in alcun modo di risollevare le sorti della morente popolazione italiana”. Fra trent’anni, quando secondo l’Istat saremo sei milioni in meno di oggi, molte aree dell’Italia saranno già praticamente un deserto. Un gran numero dei 4.400 piccoli comuni con meno di tremila abitanti, che rappresentano il 56 per cento dei comuni italiani, saranno i primi a svuotarsi. “Così, i vecchi moriranno là, attaccati alle loro terre, mentre i pochi giovani se ne andranno, affrettando la fine. Intere piccole regioni perderanno oltre un quarto e fino a un terzo degli abitanti e ogni vitalità demografica già entro i prossimi quattro-cinque decenni: il Molise e la Basilicata al sud, l’Umbria al centro, il Friuli e la Valle d’Aosta (che ha la fortuna di reggersi sul turismo invernale, altrimenti sarebbe la prima a chiudere i battenti) al nord”. Ma la stessa sorte toccherà alla Liguria e alla Sardegna, appena un milione e mezzo di abitanti ciascuna, vecchi se non vecchissimi, quest’ultima letteralmente in caduta libera”. Più in generale l’area formata da Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta è quella dove meglio si vedranno gli effetti di un doppio processo già in atto da tempo. “Si salverà Torino? Chissà. Ancora più difficilmente Genova. Un processo analogo investe a est Romagna e Marche e sul versante occidentale la Toscana. Ma saranno intere aree del Mezzogiorno a perdere più abitanti e più in fretta che nel resto del paese. La popolazione italiana non reggerà, il paese non reggerà. “Forse quella fine è già segnata. Tutto fa pensare di sì. Ci sono dieci-quindici anni per capire se si può ancora rianimare una speranza. Ma se questa consapevolezza, come sembra, non alberga come dovrebbe, quanto sarebbe assolutamente necessario, nelle classi dirigenti del paese, a cominciare da quella politica, allora la partita è bell’e chiusa. L’augurio di chi scrive è quello di venire clamorosamente smentito”. Intanto, tre delle dieci città più vecchie (e decrepite) d’Europa sono in Italia.