VI domenica di Pasqua
(At 15, 1-2.22-29; Sal 66; Ap 21, 10-14.22-23; Gv 14, 23-29)
Sant’Efrem il Siro paragona la parola di Dio a una fontana che zampilla notte e giorno senza interruzione. Chi va ad attingere acqua non deve rattristarsi vedendo che non può esaurire la sorgente, ma solo prendere quel po’ di cui è capace. Deve piuttosto rallegrarsi che la fontana continui a zampillare, perché così potrà tornarvi ad attingere ogni volta che ne avrà bisogno. Dobbiamo considerare questo pensiero perché il brano odierno sembra proprio una fontana da cui sgorga troppa acqua per raccoglierla tutta in una volta.
Due dei tre temi che vi vengono trattati, cioè l’amore e la pace, sono toccati in diversi momenti dell’anno liturgico. Il terzo è lo Spirito Santo, su cui conviene focalizzarsi, essendo questo il tempo dei cinquanta giorni della gioia («laetissimum spatium», direbbe Tertulliano) che ci conducono alla Pentecoste. I 50 giorni dopo Pasqua potremmo chiamarli l’avvento dello Spirito Santo. Anticamente era questo il senso dato alla parola “Pentecoste”. Tre sono le cose attribuite con insistenza allo Spirito Santo nel Nuovo Testamento. Lo Spirito Santo è dono: basta questa parola per cogliere, nella Bibbia, una serie di punti luminosi. Gesù dice alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). Come facciamo a sapere noi che quel dono di Dio indica proprio lo Spirito Santo? Lo leggiamo poco più avanti nel Vangelo di Giovanni: «Chi ha sete venga a me e beva…Questo disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui» (Gv 7,37-39). Il dono è l’acqua viva, e l’acqua viva è lo Spirito!
Lo Spirito Santo è il grande, unico, immenso Dono che, cadendo sulla Chiesa, si diffonde in tanti doni diversi, che sono i carismi. Il Dono unico si divide in tanti doni, per tornare a ricomporsi in unità nella Chiesa, alla quale tutti i doni sono destinati. Come il Pane eucaristico, spezzato in milioni di particole, forma un unico Corpo.
Oltre che dono, lo Spirito Santo è detto comunione (2Cor 13,13). Anzitutto, comunione del Padre e del Figlio tra di loro. Nella Trinità, fa notare sant’Agostino, solo lo Spirito Santo porta un nome comune a tutte e tre le Persone divine, perché tutto in Dio è “spirito” e tutto è “santo”, mentre non tutto si può chiamare Padre e nemmeno tutto Figlio. Egli è dunque ciò che “accomuna” il Padre e il Figlio. Lo Spirito Santo è la comunione del Padre e del Figlio tra di loro, la scaturigine di ogni comunione e di ogni comunità. E’ proprio per questo motivo trinitario che Egli è anche comunione tra noi e Dio: «Il Padre e il Figlio hanno voluto che noi avessimo comunione tra noi e con loro per mezzo di ciò che è comunione in seno ad essi e hanno voluto riunirci in unità per quello stesso dono che essi hanno in comunione tra loro» (S. Agostino, Discorsi, 7,12,18).
Lo Spirito santo è gioia, in terzo luogo: «I discepoli erano ripieni di gioia e di Spirito Santo» (At 13,52); «Il Regno di Dio è gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17); «Il frutto dello Spirito Santo è amore, gioia, pace» (Gal 5,22). La consolazione, che è una modalità della gioia (la gioia nella tristezza!), appartiene a tal punto allo Spirito Santo che Gesù ne fa il suo nome proprio: Paraclito, cioè Consolatore! Anche questa prerogativa discende dalla vita intima della Trinità: «L’ineffabile abbraccio del Padre e del Figlio», scrive ancora Sant’Agostino, «non è senza gaudio, senza amore e gioia. Questa dilezione, questo piacere, questa felicità, nella Trinità è lo Spirito Santo. Egli è la soavità del Generante e del Generato, e inonda della sua liberalità e della sua abbondanza immensa tutte le creature secondo la loro capacità» (De Trinitate, VI,10,11). Lo Spirito Santo è quel «fiume di Dio» (Sal 46) che discende dall’alto, dalla Trinità, e che «con i suoi ruscelli rallegra la città di Dio», che è la Chiesa (Sant’Ambrogio, De Spir. S.III, 155ss).
Da che cosa proviene la gioia se non dall’amare e dall’essere amati? L’amore è quel peso che ci attira verso il luogo del nostro riposo, cioè verso l’appagamento e la gioia (S.Agostino – Confessioni, XIII,9). Tutto dello Spirito Santo converge verso l’amore; lo Spirito Santo è Colui di cui parla il Nuovo Testamento quando dice: «Dio è amore!» (1Gv 4,8.16). E’ Lui ad essere versato nei nostri cuori mediante il Battesimo. Egli non effonde qualcosa di estraneo, ma Se stesso; non una cosa, ma una persona: «Egli dimora presso di voi e sarà in voi» (Gv 14,17). Non si tratta qui, almeno primariamente, del nostro amore per Dio, ma dell’amore che Dio ha per noi.
Egli si immedesima a tal punto con noi da assumere la nostra stessa voce e grida: «Abbà, Padre!» (è un grido che si addice a noi, ma non a Lui, che non è figlio del Padre, ma solo procede dal Padre); senza di Lui, non sarebbe possibile.
Che cos’è, allora, lo Spirito Santo per noi? E’ il «cuore nuovo», il cuore di carne dato all’uomo redento da Cristo al posto del cuore di pietra, perché sia capace di farsi amare da Dio e di amare i fratelli. E’ per noi il massimo dono, che racchiude ogni possibilità di comunione e di gioia.
Prepariamoci ad accogliere in modo nuovo, a Pentecoste, questo ineffabile dono di Dio.
Domenica, 22 maggio 2022