Il Papa individua in una certa forma di accidia, che toglie agli uomini il desiderio del vero, del bene e del bello, il principale male del nostro tempo, che colpisce particolarmente i “buoni” e li rende incapaci di combattere contro l’aggressività del male. Appare così la «società della stanchezza», definizione precisa del nostro tempo in preda alla disperazione
di Michele Brambilla
Come dice Papa Francesco all’udienza del 25 maggio, «nella nostra riflessione sulla vecchiaia – continuiamo a riflettere sulla vecchiaia –, oggi ci confrontiamo con il Libro di Qoelet, un altro gioiello incastonato nella Bibbia. A una prima lettura questo breve libro colpisce e lascia sconcertati per il suo celebre ritornello: “Tutto è vanità”», che sembra preludere ad una mentalità nichilista. «In realtà», spiega il santo Padre, «la continua oscillazione di Qoelet tra senso e non-senso è la rappresentazione ironica di una conoscenza della vita che si distacca dalla passione per la giustizia, della quale è garante il giudizio di Dio».
Qui è necessaria una precisazione. Per la Bibbia desiderare ardentemente la giustizia non è sbagliato, ma ciò da cui si mette in guardia è lo zelo amaro, che può trasformarsi in aspirazioni che potremmo definire rivoluzionarie, ovvero palingenetiche nel senso ideologico dell’aggettivo. «E la conclusione del Libro indica la via d’uscita dalla prova: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché qui sta tutto l’uomo” (12,13). Questo è il consiglio per risolvere questo problema», che è insormontabile se ci si basa unicamente sulle forze umane.
Da anziani, ma sono sentimenti anticipabili in altre età della vita, sembra che i nostri sforzi siano stati vani: il mondo è andato per la sua strada, nonostante i nostri tentativi di renderlo migliore. Si riaffaccia il pericolo dello zelo amaro, «è una specie di intuizione negativa che può presentarsi in ogni stagione della vita, ma non c’è dubbio che la vecchiaia rende quasi inevitabile questo appuntamento col disincanto». Inoltre, «per la nostra cultura moderna, che alla conoscenza esatta delle cose vorrebbe consegnare praticamente tutto» e pensa che basti applicare alla lettera l’ultima ideologia “di grido” per ottenere automaticamente il benessere, «l’apparizione di questa nuova ragione cinica – che somma conoscenza e irresponsabilità – è un contraccolpo durissimo. Infatti, la conoscenza che ci esonera dalla moralità sembra dapprima una fonte di libertà, di energia, ma ben presto si trasforma in una paralisi dell’anima» di fronte alle contraddizioni della realtà. Momento pericolosissimo, perché «il vuoto di senso e di forze aperto da questo sapere, che respinge ogni responsabilità etica e ogni affetto per il bene reale, non è innocuo. Non toglie soltanto le forze alla volontà del bene: per contraccolpo, apre la porta all’aggressività delle forze del male. Sono le forze di una ragione impazzita, resa cinica da un eccesso di ideologia». Fallito l’ennesimo progetto ideologico partorito a tavolino, l’uomo si sente spossato, fino a far parlare di «società della stanchezza». La cronaca di questi giorni, che lo stesso Pontefice evidenzia citando la strage in una scuola del Texas, ci indica in maniera lampante la direzione verso cui porta una simile “stanchezza” mentale.
Il realismo apparentemente cinico del Qoelet ha quindi come scopo quello di introdurre alla speranza vera, quella teologale. «La vecchiaia può imparare dalla saggezza ironica di Qoelet l’arte di portare alla luce l’inganno nascosto nel delirio di una verità della mente priva di affetti per la giustizia»: le eresie non sono forse schegge di verità impazzite? «Gli anziani ricchi di saggezza e di umorismo fanno tanto bene ai giovani», che specie al mondo d’oggi si prendono fin troppo sul serio o accolgono acriticamente la propaganda che filtra dai media. I matusa «li salvano dalla tentazione di una conoscenza del mondo triste e priva di sapienza della vita. E anche, questi anziani riportano i giovani alla promessa di Gesù: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6)» se non perderanno di vista proprio Lui, giusto Giudice delle vicende umane. «La festa, ormai vicina, dell’Ascensione del Signore», questo giovedì secondo il calendario tradizionale (40° giorno dopo Pasqua, come dice il Vangelo), «mi offre lo spunto per un saluto a voi tutti. Gesù Cristo, ascendendo al cielo, lascia un messaggio ed un programma per tutta la Chiesa: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli… insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). Far conoscere la parola di Cristo e testimoniarla con gioia sia l’ideale e l’impegno di ciascuno nella rispettiva condizione di vita».
Giovedì, 26 maggio 2022