Così il Papa parafrasa san Paolo. La nostra morte rispecchierà la nostra vita, come accaduto ai due martiri gesuiti che il Santo Padre commemora nel corso dell’udienza generale
di Michele Brambilla
Papa Francesco inizia l’udienza del 22 giugno avvertendo che «nel nostro percorso di catechesi sulla vecchiaia, oggi meditiamo sul dialogo tra Gesù risorto e Pietro al termine del Vangelo di Giovanni (21,15-23). È un dialogo commovente, da cui traspare tutto l’amore di Gesù per i suoi discepoli, e anche la sublime umanità del suo rapporto con loro, in particolare con Pietro: un rapporto tenero, ma non melenso, diretto, forte, libero, aperto». Insomma, «un rapporto da uomini e nella verità», evidenzia il Pontefice.
«Nel corso della discussione di Gesù con Pietro», riprende il Santo Padre, «troviamo due passaggi che riguardano precisamente la vecchiaia e la durata del tempo: il tempo della testimonianza, il tempo della vita. Il primo passo è l’avvertimento di Gesù a Pietro: quando eri giovane eri autosufficiente, quando sarai vecchio non sarai più così padrone di te e della tua vita». L’anziano non è spesso autosufficiente, ed è quanto l’uomo contemporaneo, pervaso dal mito dell’autodeterminazione, teme di più. Proprio per questo, «c’è un passo bello di sant’Ignazio di Loyola che dice: “Così come nella vita, anche nella morte dobbiamo dare testimonianza di discepoli di Gesù”. Il fine vita dev’essere», quindi, «un fine vita di discepoli: di discepoli di Gesù». La nostra morte, insomma, rispecchierà il nostro vissuto. Gesù preannuncia a san Pietro il martirio, «ma possiamo ben intendere più in generale il senso di questo ammonimento: la tua sequela dovrà imparare a lasciarsi istruire e plasmare dalla tua fragilità, dalla tua impotenza, dalla tua dipendenza da altri, persino nel vestirsi, nel camminare», perché si è testimoni anche in quelle condizioni.
Spesso, ad infastidire, è il non poter essere protagonisti come prima. «Noi anziani», insiste il Papa, «non dovremmo essere invidiosi dei giovani che prendono la loro strada, che occupano il nostro posto, che durano più di noi. L’onore della nostra fedeltà all’amore giurato, la fedeltà alla sequela della fede che abbiamo creduto, anche nelle condizioni che ci avvicinano al congedo della vita, sono il nostro titolo di ammirazione per le generazioni che vengono e di grato riconoscimento da parte del Signore». Si ripete l’invito ad una sana interazione tra vecchi e giovani: «la vita dell’anziano è un congedo, lento, lento, ma un congedo gioioso: ho vissuto la vita, ho conservato la mia fede», donandola alle nuove generazioni.
Francesco esprime il suo cordoglio per le vittime del terremoto in Afghanistan. «Esprimo altresì il mio dolore e sgomento per l’uccisione in Messico, l’altro ieri, di due religiosi gesuiti, fratelli miei», rimarca il gesuita divenuto Papa, «e di un laico»: si tratta di padre Javier Campos Morales, padre Joaquín César Mora Salazar e di un loro parrocchiano, uccisi nella chiesa di Cerocahui, villaggio della Sierra Tarahumara.
«La festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì prossimo, e la memoria del Cuore Immacolato di Maria, che la Chiesa si appresta a celebrare» il giorno successivo «ci richiamano l’esigenza di corrispondere all’amore misericordioso di Cristo e ci invitano ad affidarci con fiducia all’intercessione della Madre del Signore».
Giovedì, 23 giugno 2022