Di Giulia Pompili da Il Foglio del 01/07/2022
Roma. Il messaggio è stato ricevuto. Dopo che il Summit della Nato ha indicato la Repubblica popolare cinese come una “sfida alla sicurezza” dell’Alleanza, i rappresentanti della leadership di Pechino hanno fatto diverse, scomposte dichiarazioni, e come prevedibile hanno capovolto le accuse: non siamo noi a provocare lo scontro, ad avere la “mentalità da Guerra fredda”, il nostro paese è l’unico promotore di pace che rispetta le regole. L’ambasciatore cinese all’Onu, Zhang Jun, ha detto che la Nato sta “sfruttando la crisi ucraina per ricostruire i blocchi” e che vuole espandersi anche nel Pacifico. Il portavoce della missione cinese nell’Ue ha fatto sapere che Pechino è pronta a reagire: “Visto che la Nato considera la Cina una ‘sfida sistemica’, presteremo molta attenzione e risponderemo in modo coordinato. Quando si tratta di atti che minano gli interessi della Cina, reagiamo con forza e fermezza”.
Non è chiaro in che modo la Cina possa concretamente reagire a quella che per ora sembra un’escalation soltanto retorica, soprattutto in un momento in cui Pechino è in difficoltà: la strategia Zero Covid ha rallentato l’economia cinese, e per la prima volta da molto tempo la leadership del Partito comunista ha reagito in modo un po’ confuso. Il presidente cinese Xi Jinping ricorda di continuo che il paese continuerà con le chiusure e i lockdown fino “alla vittoria finale” contro il virus.
Il premier Li Keqiang, invece, ha chiesto più volte di accelerare le misure per rilanciare l’occupazione e lo sviluppo. Ma non è detto che la Cina raggiunga l’obiettivo di crescita del 5,5 per cento previsto per quest’anno. Aziende e residenti stranieri, nel frattempo, hanno iniziato a lasciare il paese. Secondo l’ultimo report della Camera di commercio dell’Ue in Cina, il 60 per cento delle imprese europee dice che fare affari con il paese è sempre più difficile, complicato, incerto. Il mercato cinese resta vitale per gran parte dei paesi occidentali, ma la Cina si chiude sempre di più, è sempre più autoritaria e vicina alla Federazione russa.
Anche dal punto di vista della diplomazia il suo atteggiamento è sempre più aggressivo. All’inizio di giugno il primo ministro canadese Justin Trudeau ha detto che diversi aerei da ricognizione canadesi sono stati sistematicamente minacciati nei cieli asiatici dalla Cina. L’aviazione canadese era lì per partecipare ai pattugliamenti chiesti dall’Onu per monitorare l’elusione delle sanzioni nordcoreane, votate anche dalla Cina. Una cosa simile era avvenuta anche poche settimane prima con un pattugliamento australiano attorno alle isole Paracelso, nel Mar cinese meridionale. Anche se gli aerei di Canada e Australia volavano in spazi aerei internazionali, sono stati accusati da Pechino di mettere in pericolo la sua sovranità e di compiere “azioni provocatorie” su quello che considera il suo “uscio di casa”. Cioè, praticamente, l’intero Pacifico.
Come la Russia, la Cina diffonde disinformazione e cerca di “dividere l’Alleanza”, si legge nel nuovo Strategic concept della Nato, il documento programmatico pubblicato l’altro ieri dall’Alleanza. E mentre l’aggressione dell’Ucraina ha compattato l’occidente contro la Russia, sulla Cina restano molte divisioni, anche tra paesi europei. L’America e i paesi anglosassoni non si fidano più di Pechino, in Europa invece prevale il tentativo di engagement. Eppure alcune questioni, che per molti anni sono state ignorate dall’occidente, stanno diventando centrali: la Nato si è accorta per esempio che le pratiche di coercizione cinesi sulla libertà di navigazione sono un problema anche per l’Europa, che ha bisogno del Mar cinese meridionale – da più di un decennio rivendicato e militarizzato dalla Cina – per il trasporto marittimo delle merci. Anche la sicurezza dello spazio cibernetico è un punto su cui la Nato ha deciso di investire di più, così come quello della sicurezza spaziale e satellitare. Anche per questo, per la prima volta, a un summit della Nato hanno partecipato i partner dell’Indo-Pacifico, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del sud. La sicurezza non è più soltanto una questione di geografia.