Il mandato missionario riguarda ciascuno di noi, fino agli estremi confini della terra, ma sempre in una dinamica di comunione
di Michele Brambilla
Papa Francesco evidenzia, pregando l’Angelus del 3 luglio, che «nel Vangelo della liturgia di questa domenica leggiamo che “il Signore designò altri settantadue [discepoli] e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” (Lc 10,1)». La vocazione missionaria riguarda ciascun battezzato, ma la missione non si compie da “battitori liberi”. Ecco, allora, il Papa rimarcare che «i discepoli sono stati inviati a due a due, non singolarmente».
In un’epoca fortemente individualista come la nostra, non poter fare tutto da soli sembra più un limite che una risorsa. Lo stesso Pontefice fa un’osservazione: «c’è il rischio che i due non vadano d’accordo, che abbiano un passo diverso, che uno si stanchi o si ammali lungo la via, costringendo anche l’altro a fermarsi. Quando invece si è da soli, sembra che il cammino diventi più spedito e senza intoppi. Gesù però non la pensa così: davanti a sé non invia dei solitari, ma discepoli che vanno a due a due», perché se è vero che tutti i battezzati sono ipso facto missionari, ognuno di essi agisce all’interno di una comunità, la Chiesa, che è Corpo mistico dello stesso Signore. Nessun corpo sussisterebbe se le membra andassero ognuna per conto proprio, ed è il motivo per cui gli scismi sono una delle ferite più gravi che si possono infierire al Corpo mistico di Cristo. «I discepoli non sono», insiste Francesco, «dei “battitori liberi”, dei predicatori che non sanno cedere la parola a un altro. È anzitutto la vita stessa dei discepoli ad annunciare il Vangelo: il loro saper stare insieme, il rispettarsi reciprocamente, il non voler dimostrare di essere più capace dell’altro, il concorde riferimento all’unico Maestro». Quando questi presupposti vengono meno, la comunità cristiana non solo si lacera, ma non è neppure più attrattiva.
«Si possono elaborare piani pastorali perfetti, mettere in atto progetti ben fatti, organizzarsi nei minimi dettagli; si possono convocare folle e avere tanti mezzi; ma se non c’è disponibilità alla fraternità», ammonisce ancora il Santo Padre, «la missione evangelica non avanza». Il Papa racconta: «una volta, un missionario raccontava di essere partito per l’Africa insieme a un confratello. Dopo qualche tempo però si separò da lui, fermandosi in un villaggio dove realizzò con successo una serie di attività edilizie per il bene della comunità. Tutto funzionava bene. Ma un giorno ebbe come un sussulto: si accorse che la sua vita era quella di un bravo imprenditore, sempre in mezzo a cantieri e carte contabili! Ma … e il “ma” è rimasto lì. Allora lasciò la gestione ad altri, ai laici, e raggiunse il suo confratello», ritrovando con esso il senso della comunione ecclesiale.
«Ieri a San Ramón de la Nueva Orán, in Argentina, sono stati beatificati Pedro Ortiz de Zárate, sacerdote diocesano, e Giovanni Antonio Solinas, presbitero della Compagnia di Gesù», martirizzati nel 1683. Benché provenissero da seminari differenti, sapevano di essere membri dell’unica Chiesa e cooperarono affinché gli indigeni conoscessero Gesù, realizzando in pienezza quel mandato missionario che riguarda tutti e ciascuno. «L’esempio di questi martiri ci aiuti a testimoniare la Buona Novella senza compromessi, dedicandoci generosamente al servizio dei più deboli» in perfetta comunione fra noi.
Lunedì, 4 luglio 2022