Conversazione a tavola con Roger Scruton
di Michelangelo Longo
Nel 2008 ho partecipato con un amico a un incontro organizzato dalla Vanemburg Society nella Valle de los Caidos in Spagna. Un giorno, all’ora di pranzo, mi sono recato con tutti i convenuti al ristorante e mi sono ritrovato a sedere nell’unico posto rimasto libero a fianco di Roger Scruton, che non conoscevo né come pensatore né come uomo. Per rompere il ghiaccio, guardando la caraffa di vino davanti a me, butto lì una battuta in un inglese un po’ zoppicante, cercando di essere buffo per strappare un sorriso e sciogliere la conversazione: “Vino, dall’aspetto sembra più succo d’uva…questi spagnoli…”.
Scruton con un gran sorriso ribatté “Si, è vino spagnolo”..
Ripensandoci a distanza di anni, dopo aver letto un certo numero di riflessioni del pensatore inglese, le parole di Scruton mi sembrano quasi una sintesi del suo pensiero sul bello e sul buono.
Il presupposto implicito della mia battuta era che il vino migliore è italiano, anzi, ancor di più, che è improprio rubricare tra i vini i prodotti con un profumo, un corpo, un colore diverso dagli standard italiani. Mutatis mutandis, secondo il criterio sotteso alle mie parole, sarebbe da considerare bello e buono solo ciò che rispetta un determinato canone.
La risposta di Scruton apre uno scenario diverso, non è solo il “canone” a definire la “bontà” ma anche la sua “collocazione”: ci sono modi diversi di esprimere la bellezza e la bontà. “Spagnolo” è l’aggettivo che racconta di un mondo, di una storia, di un gusto, parla di una tradizione che si affianca al “canone”, che per me coincideva con il gusto maturato attraverso l’esperienza del vino italiano.
Scruton voleva forse intendere che il bello e il buono sono opinabili? Che ci sono tanti “belli” e tanti “buoni” quante sono le culture, come dice il relativismo? No, ma certamente voleva esprimere l’idea che oltre ad avere delle caratteristiche oggettive il buono e il bello sono anche “mediati”, cioè resi riconoscibili a partire da una cultura e un’esperienza specifiche.
Ed ecco il vino spagnolo. Figlio di una cultura e tradizione che non è solo una tecnica vinicola, racconta, come dice Scruton nel suo “Bevo dunque sono“, della terra su cui è stato coltivato, del sole che ha preso, della cura nel raccoglierlo, delle scelte del contadino, della storia delle famiglie che si sono raccolte intorno a una vigna.
Ogni cultura aiuta a scoprire il bello e il buono e, a partire da un contesto determinato, può aprire l’uomo a una dimensione universale che consente di riconoscere i valori presenti in altre tradizioni.
Chi vive in luoghi ricchi di bellezze naturali e artistiche, sarà facilitato a percepire la bellezza. Lo studio e la contemplazione lo aiuteranno a entrare ancora più a fondo in questa dimensione dell’essere.
Gli europei, e in particolare gli italiani, da questo punto di vista sono particolarmente favoriti rispetto ad altri popoli. La questione però è saper riconoscere il privilegio derivato dal proprio retaggio culturale e voler valorizzare la sua dimensione universale.
Se è vero che “la bellezza salverà il mondo” allora l’Occidente, per l’eminente concentrazione di bellezza e di cultura, ha la grande responsabilità di aiutare a costruire un mondo a misura d’uomo: un mondo bello, buono e vero.
Sabato, 9 luglio 2022