Il cattolico è colui che si conforma a Cristo, via, verità e vita, lungo la strada della propria esistenza
di Michele Brambilla
Papa Francesco spiega, introducendo l’Angelus del 10 luglio, che «il Vangelo della Liturgia odierna narra la parabola del buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37); tutti la conosciamo. Sullo sfondo c’è la strada che da Gerusalemme scende a Gerico, lungo la quale giace un uomo picchiato a sangue e derubato dai briganti». Come sappiamo, a fermarsi a soccorrerlo ci penserà un samaritano, personaggio inviso all’uditorio giudaico fin dalla divisione del Regno d’Israele da quello di Giuda alla morte di re Salomone (931 a.C.).
«Non dimenticare queste parole: “ne ebbe compassione”; è quello», dice il Papa, «che sente Dio ogni volta che vede noi in un problema, in un peccato, in una miseria: “ne ebbe compassione”». Il Pontefice evidenzia che «l’Evangelista tiene a precisare che il samaritano era in viaggio. Dunque, quel samaritano, pur avendo i suoi programmi ed essendo diretto a una meta lontana, non trova scuse e si lascia interpellare, si lascia interpellare da ciò che accade lungo la strada». A partire da questa parabola, «è significativo che i primi cristiani furono chiamati “discepoli della Via” (cfr At 9,2) cioè del cammino»: emerge, infatti, una lettura per niente scontata del celebre episodio evangelico. «Il credente infatti somiglia molto al samaritano: come lui è in viaggio, è un viandante. Sa di non essere una persona “arrivata”, ma vuole imparare ogni giorno, mettendosi al seguito del Signore Gesù, che disse: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6)», rimarca il Santo Padre.
L’episodio del “Buon samaritano” non si presta, quindi, a inculcare semplicemente il dovere della solidarietà verso il fratello uomo, ma è metafora del cammino spirituale di ognuno di noi: «il “discepolo della Via” – cioè noi cristiani – vede perciò che il suo modo di pensare e di agire cambia gradualmente, diventando sempre più conforme a quello del Maestro. Camminando sulle orme di Cristo, diventa un viandante, e impara – come il samaritano – a vedere e ad avere compassione». Il Papa osserva che «anzitutto vede: apre gli occhi sulla realtà, non è egoisticamente chiuso nel giro dei propri pensieri». In questo modo Francesco condanna decisamente quello che è l’approccio ideologico alla realtà, ovvero applicare al dato reale un’idea precostituita. Anche «tanti credenti si rifugiano nei dogmatismi per difendersi dalla realtà», mentre una visione senza lenti ideologiche aiuta a prendersi davvero cura dei fratelli e del creato.
«Davanti a questa parabola evangelica può capitare di colpevolizzare o colpevolizzarsi, di puntare il dito verso altri paragonandoli al sacerdote e al levita: “Ma questo o quello vanno avanti, non si fermano!”, oppure di colpevolizzare sé stessi enumerando le proprie mancanze di attenzione verso il prossimo. Ma io vorrei suggervi», dice il Papa, «un altro tipo di esercizio», che è chiedere a Dio di saper vedere e avere compassione come Lui. Pure «questa è una grazia, dobbiamo chiederla al Signore: “Signore che io veda, che io abbia compassione, come Tu vedi me e Tu hai compassione di me”. Questa è la preghiera che oggi suggerisco a voi: “Signore che io veda, che io abbia compassione, come Tu vedi me e hai compassione di me”».
Allargando lo sguardo sul mondo, il Pontefice si unisce ai vescovi dello Sri Lanka, preoccupati per la grave crisi socio-politica della loro nazione, prega per la Libia, che non ha pace dal 2011, «e rinnovo la mia vicinanza al popolo ucraino».
Martedì, 12 luglio 2022