Nota del gennaio 2019
Riproponiamo a distanza di oltre trent’anni una riflessione del fondatore di Alleanza Cattolica in tema di dottrina sociale della Chiesa e sull’importanza dell’azione dei laici cattolici nella costruzione della società.
Giovanni Cantoni, Cristianità n. 165 (1989)
La comunicazione del reggente nazionale di Alleanza Cattolica al Seminario di Presentazione delle Scuole Popolari di Dottrina Sociale per l’Anno 1988-1989, svolta a Rimini il 20 novembre 1988.
Dopo l’enciclica «Sollicitudo rei socialis»
Dottrina sociale, teologia morale e coscienza
Nell’enciclica del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis si legge che «la dottrina sociale della Chiesa […] costituisce una categoria a sé. Non è un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale» (1). Intendo svolgere qualche considera- zione su premesse e su conseguenze implicite in questo passo della più recente espressione del Magistero sociale.
1. «L’insegnamento sociale della Chiesa — si legge nell’Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia» — è nato dall’incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell’amore di Dio e del prossimo e nella giustizia (cf. Mt 22, 37-40; Rm 13, 8-10), con i problemi derivanti dalla vita della società. Esso si è costituito in dottrina, valendosi delle risorse della sapienza e delle scienze umane; verte sull’aspetto etico di questa vita e tiene in debito conto gli aspetti tecnici dei problemi, ma sempre per giudicarli dal punto di vista morale» (2).
Questa indicazione relativa alla natura della dottrina sociale della Chiesa permette di identificare due ordini di realtà, anzitutto quello costituito dalla «questione sociale», quindi quello rappresentato dalla prassi, dottrinalmente fondata, che di tale questione sociale presenta possibile soluzione ricavandola dalla Rivelazione vero nomine, dalla ragione e dall’esperienza.
Quanto alla questione sociale, essa è — in senso lato — l’insieme delle difficoltà della convivenza fra gli uomini post peccatum, cioè l’insieme delle difficoltà nei rapporti interpersonali a rilevanza pubblica, nelle relazioni propriamente pubbliche e in quelle che sono occasionate dai beni del creato e da quelli prodotti dall’umana laboriosità; in altri termini, la questione sociale è l’insieme delle difficoltà dell’umana convivenza post peccatum in ordine alla vita politica, sociale ed economica. Poiché è «essenzialmente orientato verso l’azione, questo insegnamento — cioè l’insegnamento sociale della Chiesa — si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia» (3): perciò, nella stessa misura in cui la questione sociale si può ritenere una categoria della vita degli uomini post peccatum — cioè massima astrazione dalle molteplici questioni sociali datate e situate —, in quella stessa misura ha carattere categoriale anche la dottrina sociale, risposta di fonte soprannaturale e naturale alla problematica sociale.
In senso stretto, la questione sociale è l’insieme delle difficoltà della convivenza fra gli uomini post peccatum in ordine alla vita politica, sociale ed economica, così come si è manifestata — ed è stata via via rilevata — prima in Europa, poi in tutto l’occidente, quindi nei mondo intero, nell’epoca caratterizzata dal «moderno processo di liberazione», soprattutto «là dove [le esigenze di tale processo] […] assumono forme aberranti e giungono ad opporsi alla visione cristiana dell’uomo e del suo destino» (4) rivelandone la «mortale ambiguità» (5), cioè a partire dal Rinascimento; e in questa versione epocale — che data e situa quella categoriale — la questione sociale ha trovato risposta sempre più organizzata e articolata nel corpus dottrinale cui si è soliti fare riferimento quando correntemente si parla di dottrina sociale della Chiesa.
Su questa base si intende senza difficoltà il senso dell’affermazione del Santo Padre Giovanni Paolo II secondo cui «vi è già tutto un insegnamento sociale della Chiesa che si tratta di raccogliere, di mettere in luce, di spiegare, di approfondire, di continuare e di far conoscere. Risale a molto lontano. La conoscenza dei testi dei Padri della Chiesa; dei grandi teologi e dei principali interventi in materia sociale nella storia della Chiesa sarebbe a questo proposito molto utile. I documenti del Magistero costituiscono evidentemente le fonti principali, soprattutto quelli che, da un secolo a questa parte, hanno analizzato le situazioni contemporanee e orientato gli sforzi sociali dei cristiani» (6).
2. Poste queste premesse, importa affrontare immediatamente due problemi, il primo relativo alla storia del termine stesso «dottrina sociale della Chiesa», il secondo riguardante la comprensione della Chiesa e nella Chiesa di tale dottrina, cioè la consapevolezza del suo statuto.
Quanto al termine, esso quasi emerge all’interno del corpo dottrinale costituito dai documenti emessi dal Magistero supremo della Chiesa soprattutto da un secolo a questa parte, e giunge a completo riconoscimento, senza fungibilità di sorta, nell’enciclica Mater et Magistra, di Papa Giovanni XXIII, che ne definisce anche lo statuto generico, a suo proposito parlando di «parte integrante della concezione cristiana della vita» (7).
Quanto allo statuto specifico di tale dottrina sociale, benché essa sia sempre stata posta in relazione più o meno esplicita con la morale, trova finalmente la sua collocazione inequivoca nei passo dell’enciclica Sollicitudo rei socialis che ho citato e in cui si afferma che non appartiene al campo dell’ideologia, ma a quello della teologia e più precisamente della teologia morale. Perché si colga la continuità dell’affermazione del Santo Padre Giovanni Paolo II con quelle dei suoi predecessori, nonché la sua «novità», cito due proposizioni: la prima e di Papa Pio XII, secondo cui la «dottrina sociale della Chiesa, […] sorta per rispondere a nuovi bisogni, non è in fondo che l’applicazione della perenne morale cristiana alle presenti circostanze economiche e sociali» (8); la seconda è di Papa Paolo VI che, indirizzandosi ai Comitati Civici, dopo averli invitati a collegare gli insegnamenti oggetto del loro apostolato «con la dottrina sociale della Chiesa, da cui tanta luce, tanta sicurezza, tanto vigore possono scaturire per chi l’accoglie con attenzione e fiducia», li invita a guidare il giudizio delle coscienze «applicando all’ordine civile le stesse norme morali che presiedono all’ordine privato» (9).
3. Tomo al passo citato dall’enciclica Sollicitudo rei socialis e noto come esso abbia immediatamente attirato l’attenzione dei commentatori più avveduti quanto a ciò che nega, cioè il carattere ideologico talora attribuito alla dottrina sociale della Chiesa, senza che ne sia stata valutata adeguatamente la portata anche in relazione a una problematica di sempre maggiore attualità.
Intendo riferirmi alla problematica relativa alla formazione della coscienza, affrontata ed esposta dal Magistero supremo della Chiesa con particolare dovizia di interventi almeno a partire dal pontificato di Papa Pio XII. ma che ha raggiunto una sorta di climax in quello di Papa Paolo VI e alla quale non mancano certo i riferimenti in interventi del regnante Pontefice Giovanni Paolo II, interventi che si vanno intensificando: questa problematica è affrontata soprattutto, se non esclusivamente, in relazione alla morale sessuale in genere e a quella coniugale in specie, prima sulla base delle sollecitazioni provenienti dalla cosiddetta morale nuova — versione morale della nouvelle théologie —, poi dalle reazioni all’enciclica Humanae vitae, quindi — attualmente — dall’insofferenza al Magistero in argomento, contenuto soprattutto nell’esortazione apostolica Familiaris consortio (10).
Gli interventi magisteriali si possono sintetizzare rapidamente nella distinzione preliminare fra la coscienza psicologica e quella morale; quindi, nel riconoscimento del primato della coscienza morale come ultima sede di giudizio prima dell’azione o per la valutazione di essa, accompagnata però dall’affermazione che — se la coscienza morale è l’ultima istanza di merito — tale carattere ultimativo non la costituisce metro del giudizio, ma semplicemente luogo del giudizio, un giudizio che viene certamente emesso sulla base dei caratteri che costituiscono la coscienza secondo natura, ma al cui proposito non si deve assolutamente dimenticare che si tratta di una natura ferita dal peccato, sì che la coscienza non gode del privilegio della immacolatezza. Utilizzando una metafora cara a Papa Paolo VI — e da lui quasi certamente ripresa da Romano Guardini (11) — la coscienza è come l’occhio, che ha bisogno della luce per vedere, ma non è essa stessa la luce (12).
Tenendo presenti queste considerazioni, è agevole passare dalla morale sessuale e coniugale a quella sociale, e valutare in tutta la sua portata l’osservazione secondo cui — al dire di padre Ermenegildo Lio O.F.M. — «non basta preoccuparsi soltanto o prevalentemente di un retto ordine morale sessuale e coniugale: occorre insistere sui principi ancor più gravi della giustizia sociale e della carità.
«Purtroppo — infatti — alcuni moralisti nei problemi della giustizia o tacciono o ripetono ancora tante opinioni che non hanno fondamento […]. È quindi urgente perfezionare e far progredire in questo settore la teologia morale, se non vogliamo oltretutto essere di fatto i pastori di una morale, che si presenta certa e categorica soltanto o prevalentemente sui problemi di morale sessuale o coniugale» (9).
Assumo questa puntuale notazione per quanto significa dal punto di vista della recezione e dell’elaborazione pedagogica della dottrina morale sessuale e coniugale, senza entrare assolutamente nel merito della sua pratica concreta. E da questa notazione emerge la necessità che si presti attenzione adeguata non soltanto alla formazione della coscienza in tale settore, ma anche in quello del pensiero e del comportamento politici, sociali ed economici.
A questo proposito si deve ricordare — sulla base dell’Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia» — che, se «non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nella costruzione politica e nell’organizzazione della vita sociale», «questo compito rientra nella vocazione dei laici, che agiscono di propria iniziativa con i loro concittadini (cf. Cost. past. Gaudium et Spes, n. 76 , § 3; Decr. Apostolicam Actuositatem, n. 7). Essi devono compierlo con la consapevolezza che la finalità della Chiesa è di estendere il Regno di Cristo, affinché tutti gli uomini siano salvi e per mezzo loro il mondo sia effettivamente ordinato a Cristo (cf. Loc. cit., n. 20).
«L’opera della salvezza — prosegue il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede — appare così indissolubilmente legata all’impegno di migliorare e di elevare le condizioni della vita umana in questo mondo.
«La distinzione fra l’ordine soprannaturale della salvezza e l’ordine temporale della vita umana deve essere vista all’interno dell’unico disegno di Dio che è di ricapitolare tutte le cose in Cristo. È questa la ragione per la quale, nell’uno e nell’altro settore, il laico, ad un tempo fedele e cittadino, deve lasciarsi guidare dalla sua coscienza cristiana (cf. Loc. cit., 5)» (14).
Identificato il legame fra i comportamenti sociali e la coscienza, si deve avere ben presente che la coscienza in questione non è coscienza psicologica, cioè l’organo di una sensibilità più o meno raffinata nei confronti delle problematiche sociali; si tratta, piuttosto, della coscienza morale, il cui giudizio si deve formare, post peccatum, alla luce del Magistero supremo della Chiesa, perché di essa si possa parlare come di «coscienza cristiana». In questa prospettiva, e in coerenza con essa, si comprende come il Concilio Ecumenico Vaticano II ricordi ai laici che spetta loro e «alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena» (15); in questa prospettiva — ancora — e in coerenza con essa, la nozione di «ispirazione cristiana» non può reggere come «vago ideale» — come tale già stigmatizzata dal Santo Padre Giovanni Paolo II (16) —, ma comporta richiamo esplicito delle norme sulla cui base la coscienza si deve formare e può enunciare correttamente i propri giudizi.
4. Prima di concludere, vorrei brevemente accennare ad altri settori d’orizzonte, che si aprono sulla base del passo dell’enciclica oggetto di queste mie considerazioni.
a. Se la dottrina sociale della Chiesa appartiene al campo della teologia e, in specie, della teologia morale, la sua elaborazione può fin da subito fruire delle acquisizioni sistematiche e metodologiche della morale in genere, e di quella individuale in specie, così articolandosi attorno a elementi speculativi e pratici; così — ancora — ordinando i propri contenuti in «principi di riflessione», in «criteri di giudizio» e, quindi, in «direttive di azione» (17); così — infine — esplorando il terreno di una ascetica e di una mistica sociali.
b. Se la dottrina sociale è, di fatto, una delle tante «teologie del genitivo», cioè una «teologia della società», in quanto teologia la sua elaborazione necessita del ricorso ai cosiddetti loci theologici, la maggior parte dei quali è certamente surrogata e assorbita dal Magistero della Chiesa, norma proxima fidei (18); ma, oltre alla Sacra Scrittura, alla Tradizione, al Magistero pontificio e conciliare, alla patristica e alla scolastica, si apre così il riferimento alla ragione naturale, ai filosofi e alla storia, come esperienza degli uomini: e di questo procedimento di rimando fornisce esempio lo stesso Papa Giovanni Paolo II quando afferma che i cosiddetti Voti del re polacco Giovanni Casimiro, pronunciati il 2 aprile 1656 nella cattedrale di Leopoli, costituiscono un importante anello nella storia universale della dottrina sociale della Chiesa (19). Non si tratta di un oggettivo incitamento alla costruzione di una corretta agiografia sociale?
c. Contro il luogo comune che pretende di «liberarsi» dalla dottrina sociale della Chiesa e dalle sue esigenze qualificandole come ridotte ed esigue, in quanto questa dottrina sarebbe ampiamente datata e situata, il cardinale Roger Etchegaray, presidente della Pontificia Commissione Iustitia et Pax, ricorda che «la dottrina sociale della Chiesa, come indica la parola stessa “dottrina”», è «molto vicina alle fonti della fede», per cui «parla talora all’imperativo, talora all’ottativo, ma non al facoltativo: la sua luce — infatti — permette di delimitare il campo delle alternative moralmente ammissibili» (20), che quindi si situano sul terreno compreso fra il Decalogo e le Beatitudini, ma non fuori da esso!
d. Se la dottrina sociale della Chiesa è morale, va distinta con cura dal moralismo: si tratta, cioè, di una dottrina la cui estrinsecità rispetto all’uomo e alla società cui l’uomo dà vita grazie alla sua naturale socialità, è esteriorità di necessità morale in quanto è determinata dal peccato; ma non propone una legge estranea alla natura dell’uomo e della società, bensì ripropone ab extra e pro memoria le rispettive rationes, che il peccato non permette né di cogliere perfettamente, né di realizzare adeguatamente. Moralismo, per contro, è la giustapposizione artificiale e deformante di una legge e di una realtà, senza rapporti di sorta fra tale legge e la ragion d’essere della realtà in questione (21).
Chiudo con un’ultima notazione: se, come a proposito e nel campo della morale individuale, è da rifiutare la «gradualità della legge» (22), ma la coscienza deve essere formata all’ideale integro, preservando il proficiente dalla disperazione con un’adeguata presentazione della dottrina sulla grazia e sulla misericordia di Dio, anche nel campo della morale sociale niente si può immaginare di peggio — nella formazione della coscienza «adeguata» o «retta» — di prospettive preventivamente mutilate. Ai compromessi costringe la condizione storica e a essi presiede la virtù politica per eccellenza, la prudenza, per cui è indispensabile praticare una pedagogia integrale e non minimalistica, in nessun modo mutilando le esigenze della dottrina e avendo ben presente che «la vita sociale, nella varietà delle sue forme e nella misura in cui è conforme alla legge divina, costituisce un riflesso della gloria di Dio nel mondo» (23).
Giovanni Cantoni
Note:
(1) GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Sollicitudo rei socialis, del 30-12-1987, n. 41.
(2) CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», del 22-3-1986, n. 12.
(3) Ibidem.
(4) Cfr. ibid., nn. 5-19.
(5) Ibid., n. 20.
(6) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria della Pontificia Commissione Iustitia et Pax, del 30-11-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 2, p. 1335.
(7) GIOVANNI XXIII, Enciclica Mater et Magistra, del 15-5-1961, in Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, vol. III, p. 741; trad. it. in FRANCESCO VITO (a cura di), Introduzione alle Encicliche e ai Messaggi sociali. Da Leone XIII a Giovanni XXIII, Vita e Pensiero, Milano 1962, p. 309.
(8) PIO XII, Radiomessaggio sul tema La coscienza cristiana come oggetto della educazione a conclusione della Giornata della Famiglia, del 23-3-1952, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XIV, p. 22.
(9) PAOLO VI, Discorso a dirigenti e collaboratori dei Comitati Civici, del 30-1-1965, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, p. 62.
(10) L’argomento è sviscerato in PADRE ERMENEGILDO LIO O.F.M., «Morale perenne» e «morale nuova» nella formazione ed educazione della coscienza, Pontificia Università Lateranense-Città Nuova, Roma 1979; IDEM, «Humanae vitae» e coscienza. L’insegnamento del Card. Wojtyla teologo e Papa, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1980; e IDEM, «Humanae vitae» e infallibilità. Paolo VI, il Concilio e Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1986, testi ricchi di esaurienti rimandi ai documenti del Magistero.
(11) Cfr. ROMANO GUARDINI, La coscienza, trad. it.. Morcelliana. Brescia 1961, p. 17.
(12) Cfr. PAOLO VI, Discorso all’udienza generale, del 7-10-1970, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. VIII, p. 1011.
(13) E. LIO O.F.M., «Humanae vitae» e coscienza. L’insegnamento del card. Wojtyla teologo e Papa, cit., pp. 52-53.
(14) CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su Libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», cit., n. 80.
(15) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 43.
(16) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai rappresentanti dei movimenti operai cristiani sulla tomba del cardinale Cardijn, del 19-5-1985, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, I, p. 1533.
(17) Cfr. PAOLO VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens, del 14-5-1971, n. 4; e, per il precedente scientifico, cfr. PADRE JEAN VILLAIN S.J., L’insegnamento sociale della Chiesa, trad. it., ristampa, Centro Studi Sociali, Milano 1961, p. 27.
(18) Cfr. PIO XII, Enciclica Humani generis, del 12-8-1950, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XII, p. 500.
(19) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella solennità di Maria Regina della Polonia del 3-5-1988 in L’Osservatore Romano, 4-5-1988.
(20) CARD. ROGER ETCHEGARAY, L’Encyclique «Sollicitudo rei socialis», in Paris Notre-Dame, 17-3-1988, trascritto in la documentation catholique, anno LXXXV, n. 1962, 15-5-1988, p. 506.
(21) Cfr. CARD. JOSEPH RATZINGER, Prolusione ai convegno sul tema Chiesa e mondo economico 1985: corresponsabilità per il futuro dell’economia mondiale, organizzato presso l’università Urbaniana il 23-11-1985, trad. it., in il regno-documenti, anno XXX, n. 544, 1-2-1986, p. 101.
(22) Cfr. E. LIO O.F.M., «Humanae vitae» e infallibilità. Paolo VI, il Concilio e Giovanni Paolo II, cit., pp. 585 e 884-893.
(23) CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su libertà cristiana e liberazione «Libertatis conscientia», cit., n. 33.