La Madonna, sant’Ignazio di Loyola e san Carlo Borromeo: la passione educativa di Dio per ogni uomo
di Michele Brambilla
Ci troviamo nel mese di ottobre, tradizionalmente dedicato al S. Rosario. La pratica del Rosario fu rilanciata nelle parrocchie e nelle famiglie, dopo il concilio di Trento (1545-63), per contrastare il rifiuto del culto mariano da parte dei protestanti, ma era da decenni patrimonio indiscusso della Riforma cattolica, ovvero quel movimento di auto-riforma che era sorto nella Chiesa cattolica ben prima che Martin Lutero (1483-1546) affiggesse le sue 95 tesi. Furono, infatti, instancabili propagatori della Corona del Rosario sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) e san Carlo Borromeo (1538-84). Il primo, come noto, tramite gli Esercizi spirituali rinnovò i metodi di discernimento ecclesiale, il secondo restaurò la vita delle diocesi e delle parrocchie. Entrambi si posero come primi educatori del proprio gregge, distinguendosi per austerità di vita, rigore dottrinale e obbedienza al Sommo Pontefice. Se san Carlo volle che ogni parrocchia si dotasse di una confraternita del S. Rosario, in genere la sezione femminile di quella del SS. Sacramento, non va sottovalutato neppure il ruolo delle congregazioni mariane gesuite, tramite le quali si diffuse anche la spiritualità degli Esercizi. Molte personalità controrivoluzionarie provenivano dai collegi gesuiti e dalle loro congregazioni mariane.
Una bella pala di Carlo Maratta (1625-1713), dipinta nel 1675 per la chiesa romana di S. Maria in Vallicella, sede dell’oratorio di un altro celebre esponente della Riforma cattolica, san Filippo Neri (1515-95), raffigura la Madonna assieme a san Carlo e a sant’Ignazio.
La Vergine, con il Bambino, è seduta in trono, un grande trono marmoreo sul cui basamento si arrampicano gli angeli. Ai piedi della Madonna ecco un cuscino rosso, che ricorda quello su cui si posava il piede del Papa per il bacio della sacra pantofola da parte di re e diplomatici. La Madonna si volge verso san Carlo, ascoltando le sue petizioni, mentre il Figlio guarda con compiacimento colui che ha costituito una compagnia di “soldati di Cristo”. Non c’è contrapposizione, ma perfetta complementarietà: l’autorità (Cristo e Ignazio) nella carità (la Vergine e san Carlo).
Il Santo di Loyola è rappresentato di tre quarti, con i paramenti da Messa (camice, stola, manipolo e una bella casula scura), perché sta sfogliando un libro sorretto anche da un angelo. Sulle pagine di quel libro è riportato il motto della Compagnia di Gesù, ad maiorem Dei gloriam, e Ignazio pare additarlo ai fedeli nello stesso momento in cui lo illustra al Redentore.
San Carlo sembra appoggiarsi al basamento nell’atto di inginocchiarsi. Lo sguardo è teso verso la Vergine, le braccia allargate per additarle il popolo. Se sant’Ignazio, fondatore di collegi e direttore di anime, indica la via della santificazione, ovvero dare la maggior gloria a Dio, san Carlo, pastore di un vasto gregge, si assume il compito di invocare su di esso la misericordia divina tramite Maria. Anche san Carlo ha i suoi angeli, che sorreggono una targa con la scritta humilitas, il motto dell’arcivescovo di Milano. Sia nell’istruire che nel governare, ci vuole sempre l’umiltà. In proposito, uno degli angeli si volta verso san Carlo, chiedendogli una spiegazione del suo motto. Questo particolare condensa la grande opera catechetica del card. Borromeo, che percorse instancabilmente le strade della sua vasta provincia ecclesiastica, predicando in prima persona e instituendo scuole di dottrina cattolica in ogni parrocchia.
Sabato, 15 ottobre 2022