La bellezza che caratterizza molti refettori monastici testimonia l’importanza del rito che si svolge tra quelle pareti affrescate, la sacralità di un momento importante vissuto insieme.
di Susanna Manzin
Quando entriamo in un monastero normalmente visitiamo la chiesa, con il suo coro ligneo, le navate, l’abside e talvolta il pulpito più o meno monumentale per poi passare alla sala capitolare, alla biblioteca e al chiostro. Di questi ambienti ammiriamo la bellezza, l’architettura solenne, la cura dei dettagli e consideriamo come ognuno di questi ha il suo specifico scopo nell’armonia della vita claustrale: qui si svolgono momenti importanti da un punto di vista spirituale e culturale e la loro cura artistica ci sembra più che giustificata. Non è sempre così immediata invece la comprensione del perché anche il refettorio, la sala adibita al consumo dei pasti, debba essere simile ad una cattedrale, con volte a crociera, colonne con capitelli istoriati, affreschi, preziose tele e pulpiti scolpiti.
Abbiamo notevoli esempi di refettori monumentali di pregevole valore artistico. Quello della Certosa di Calci, vicino a Pisa, ha le pareti decorate da affreschi che raffigurano momenti conviviali tratti da brani della Bibbia. In alcuni monasteri vi sono scranni di legno intarsiato che ricordano quelli di un coro, come nell’abbazia benedettina di Praglia, in provincia di Padova: sono in radica di noce, ognuno con un’iscrizione diversa che fa riferimento al cibo. Alcuni esempi? Ne quid nimis, cioè Niente più del necessario, oppure Sero venientibus ossa, che significa Ai ritardatari solo le ossa.
Quando si varca la soglia del refettorio dell’Abbazia cistercense di Casamari, in provincia di Frosinone, ci si trova in un luogo imponente e solenne, diviso in due navate, con alte campate e colonne cilindriche con capitelli ottagonali. Anche i frati predicatori hanno grande cura estetica di questi ambienti. Ne abbiamo un esempio concreto a Milano dove i domenicani del convento di Santa Maria delle Grazie chiamarono nientemeno che Leonardo da Vinci affinché affrescasse il loro refettorio: il risultato fu la celeberrima Ultima Cena, destinata ad ornare proprio la sala da pranzo della comunità religiosa. Che il refettorio rappresenti qualcosa di decisamente importante ebbi modo di comprenderlo anche conversando con un frate francescano cappuccino il quale mi disse che i frati del loro convento hanno l’obbligo di indossare la veste religiosa in due luoghi: il coro per la liturgia e il refettorio per i pasti, a dimostrazione di quanto la tavola sia considerata un contesto quasi sacro.
Ma torniamo alla radice della questione: perché tanta bellezza e sacralità? La ragione si trova nel profondo significato del pasto consumato insieme, nel quale si esprime in maniera forte la vita della comunità. San Benedetto nella sua Regola detta precise norme su come debbano svolgersi i pasti in monastero e così facendo insegna che il cibo non è solo nutrimento, ma racchiude significati molto più alti: è cultura, è occasione di comunicazione e strumento per costruire relazioni profonde. In altri termini, la comunità si costruisce anche a tavola attraverso la condivisione fraterna, i gesti di attenzione reciproca, il ritmo delle portate che insegna a dominare gli eccessi e a praticare la temperanza, la preghiera all’inizio e alla fine del pasto per ricordare che tutto viene da Dio, l’ascolto di una lettura sacra fatta da un religioso che sale sul pulpito perché “non di solo pane vive l’uomo”. Il cibo è dono della Provvidenza ma è anche il risultato della capacità di trasformare il creato con il sudore della fronte: secondo le istruzioni di San Benedetto, in cucina e in refettorio i monaci lavorano a turno, secondo corvée ben organizzate, per far sì che ognuno dia il proprio contributo di servizio.
La bellezza che caratterizza molti refettori monastici testimonia l’importanza del rito che si svolge tra quelle pareti affrescate, la sacralità di un momento importante vissuto insieme. L’ordine produce bellezza e la bellezza spinge all’armonia e al rispetto di quello stesso ordine, in una sorta di circolo virtuoso. Anche il momento del pasto diventa così occasione per elevare l’anima a Dio e per manifestare empatia e generosità verso il prossimo, senso di appartenenza alla comunità, esercizio delle virtù, in particolare la carità e la temperanza.
I monaci hanno dato un contributo fondamentale alla edificazione del continente europeo dopo la devastazione seguita al crollo dell’Impero romano d’Occidente e alle invasioni barbariche. Considerando la devastazione antropologica che caratterizza la modernità e che sta accelerando la propria marcia a partire dalla rivoluzione culturale manifestatasi negli anni Sessanta del secolo scorso, possiamo considerare come l’esempio dei monaci sia più che mai attuale, anche per noi laici e per le nostre famiglie. Hanno tanto da dire, anche nella cura della tavola e della sua bellezza, a proposito della necessità di costruire ambienti e relazioni solide. I refettori monastici, con la loro bellezza, non sono solo luoghi antichi da visitare come un museo, ma sono autentici esempi di speranza.
Sabato, primo ottobre 2022