Analisi del celebre Seppellimento del Conte di Orgàz dipinto da El Greco, che mostra il momento nel quale il cavaliere crociato Gustavo Ruiz raggiunse, nei cieli, il Sovrano che ha servito sulla terra
di Michele Brambilla
“El Greco”, soprannome di Domenico Theotokopulos (1541-1614), pittore nato a Creta e trasferitosi in Spagna per sottrarsi al dominio ottomano, dipinse tra il 1586 e il 1588 una delle sue più celebri tele, il Seppellimento del Conte di Orgàz, che raffigura un episodio della Reconquista, la lunga lotta che intercorse tra i regni cristiani della penisola iberica e i califfi musulmani. Uno scontro accompagnato da episodi miracolosi, come quello che accadde nel 1323: durante il corteo funebre che conduceva alla sepoltura il conte Gonzalo Ruiz, benefattore della chiesa di S. Tommaso a Toledo, apparvero visibilmente santo Stefano e sant’Agostino di Ippona, che completarono personalmente il rito funebre come ringraziamento per la fedeltà del defunto alla causa cattolica.
L’opera di El Greco, collocata proprio nella citata chiesa di S. Tommaso, presenta una simbologia che connette il passato con il presente storico. Gli abiti degli astanti, infatti, non sono quelli del Trecento, ma riproducono i costumi dell’epoca di Filippo II (1527-1598), di cui il pittore anticipa l’ingresso in Paradiso come premio per la difesa del Cattolicesimo contro i Turchi e i protestanti. Il conte di Orgàz viene seppellito, non a caso, con indosso un’armatura che ricorda da vicino quella dei ritratti di Carlo V (1500-1558) e dello stesso Filippo II.
Anche gli abiti sacerdotali sono cinquecenteschi: la trasparenza della cotta del prete in primo piano è stupefacente, così come i dettagli dei piviali. Assolutamente perfetta anche la dalmatica di santo Stefano. Un francescano, severo e assorto, si staglia sulla sinistra, con il cappuccio sulla testa in segno di lutto: un confratello sta commentando proprio con lui la scena straordinaria che si para loro davanti. C’è anche un altro commentatore, rivolto verso gli spettatori: è il figlio di Theotokopulos, Jorge Manuel (1578-1631), che al momento della stesura dell’opera aveva 10 anni e avrebbe un giorno seguito le orme paterne nella pittura: sorregge una torcia processionale e con una mano indica santo Stefano, mentre da una tasca pende un foglio sul quale il padre ha voluto dipingere la data di nascita del figlioletto.
Per la scena celeste El Greco ha voluto seguire in parte quelli che sono i canoni della pittura bizantina. Cristo, al centro, è diafano, in trono, come nelle iconostasi, e sempre come nelle iconostasi ortodosse è affiancato dai Grandi intercessori, la Madonna e san Giovanni Battista. Attorno ad essi si affollano gli Apostoli (Filippo II è seduto proprio in mezzo ai Dodici) e gli angeli, il più grande dei quali porta in cielo l’anima di Gonzalo Ruiz. L’anima, candida, si confonde con la nuvola ai piedi della Madre di Dio ed è di dimensioni molto ridotte, esattamente come l’anima di Maria nelle icone della Dormizione della Vergine. Ruiz merita un privilegio analogo a quello della Madonna perché, per tutta la vita, ha scelto di militare sotto lo stendardo di Cristo Re e Maria Regina. Forse non è un caso che il sacerdote che officia il rito funebre ricordi nei suoi tratti somatici sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) e quello in cotta assomigli molto a san Francesco Saverio (1506-1552).
Sabato, 12 novembre 2022