Di Giulio Meotti da Il Foglio del 12/10/2022
Roma. Pioniere delle cure palliative, il Belgio era stato il secondo paese al mondo ad autorizzare l’eutanasia, dopo l’Olanda. Ma è arrivato a banalizzarla in nome del cardine della legge che è l’autonomia del malato, che può chiedere l’eutanasia per una sofferenza che non si limita al dolore fisico o al fine vita. Basta pensare che Jean-Louis Vincent, pioniere della terapia intensiva all’Università di Bruxelles, è ancora contrario, vent’anni dopo. “Perché tante persone ricorrono all’eutanasia in Belgio?”, si domanda Franco Coppola, arcivescovo e nunzio nel paese.
Shanti De Corte aveva 23 anni. Questa ragazza belga è stata soppressa, circondata dalla sua famiglia, dopo aver ottenuto legalmente l’eutanasia. Sei anni prima, Shanti era all’aeroporto internazionale di Bruxelles. Doveva volare a Roma come premio dopo la laurea. Si trovava nella sala partenze, quando i terroristi islamici si sono fatti saltare in aria. Shanti era a pochi metri da loro. Fu portata via ancora in vita dall’aeroporto quella mattina, ma da quell’incubo non ne sarebbe mai davvero uscita. Prendeva undici antidepressivi al giorno e frequentava un progetto di Myriam Vermandel, che offre cure mediche e terapeutiche a chi, come lei, è rimasto vittima degli attentati di Bruxelles. Shanti non ha retto e così ha presentato una richiesta di eutanasia per “sofferenze psichiatriche”. Due psichiatri hanno accolto la sua richiesta. Ora presso la procura di Anversa è stata aperta un’indagine sull’eutanasia di Shanti De Corte. Ma sarà archiviata, come tutte le altre inchieste.
Nei giorni scorsi c’era stata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (istituzione che non è mai stata certo un baluardo dei valori giudaico-cristiani) che ha condannato il Belgio sulle “salvaguardie” della legge sull’eutanasia, dopo che una donna perfettamente sana l’ha ottenuta perché “depressa”.
La Vie racconta ora questa “morte programmata”: in Belgio è consuetudine fissare la data del proprio funerale e cercare anche dei sacerdoti che li celebrino (durante le esequie di solito dicono che la defunta ha “fermato” la sua vita), mentre le compagnie di assicurazione visitano le case di cura e di riposo per sensibilizzare sull’eutanasia per gli anziani, e i candidati preparano le lettere da recapitare post-mortem ad amici e familiari. “E’ un capovolgimento di civiltà”, dice Léopold Vanbellingen, ricercatore presso l’Istituto europeo di Bioetica. “L’eccezionale è diventato la norma”.
Due gemelli di Anversa, sul punto di diventare ciechi, sono stati soppressi insieme. Poi è stata la volta di Nathan Verhelst, transgender, dopo un intervento chirurgico fallito. Seguito da Frank Van Den Bleeken, incarcerato per omicidio, che ha ottenuto l’eutanasia. E Tine Nys, cui era stato diagnosticato l’autismo. “Questi casi inquietanti svaniscono in una società modellata, persino anestetizzata, dal compromesso parlamentare” commenta La Vie. Si arriva alla legge che autorizza l’eutanasia per i bambini, il 13 febbraio 2014.
I tumori (62,8 per cento) e le “polipatologie” (17,7) sono le principali cause del ricorso all’eutanasia. Ma ci sono anche duemila persone affette da patologie psichiatriche (schizofrenia, autismo, depressione, cecità) o da disturbi cognitivi (Alzheimer). La Croix spiega che il venti per cento del totale sono casi dove non c’è fine vita.
Lo spirito pubblico occidentale che si vanta di aver messo fuori legge la pena di morte, la glorifica quando non è più comminata per punire, ma per “alleviare” e “curare”, riacquistando così tutti i crismi di nobiltà. Non siamo forse finiti nella barbarie umanitaria, dove l’uomo è cancellato proprio in nome degli ideali che pretendevamo di elevare, “dignità” e “umanità”?