L’Annunciazione di Ludovico Carracci
di Michele Brambilla
Il pittore Ludovico Carracci (1555-1619) si era appena iscritto alla Compagnia dei Pittori di Bologna quando gli fu commissionata un’Annunciazione. Si tratta di quella visibile ancora oggi presso la Pinacoteca Nazionale del capoluogo emiliano: è datata 1585.
Cresciuto a contatto con la grande pittura lombarda della Controriforma e fedele applicatore delle indicazioni sulle immagini del card. Gabriele Paleotti (1522-97), arcivescovo di Bologna, Carracci si rivela fin da subito un maestro anche del chiaroscuro. “Dosa”, infatti, gli effetti luminosi della scena per dare risalto ai tre poli del mistero dell’Annunciazione: l’angelo, lo Spirito Santo e la Vergine. Anticipa sia il contemporaneo Michelangelo Merisi, detto il “Caravaggio” (1571-1610), sia l’uso dello sfondo monocromo da parte del ritrattista Francesco Hayez (1791-1882).
Per quanto riguarda l’iconografia, i decreti tridentini stabilivano che le immagini sacre dovessero esporre gli eventi della storia della Salvezza senza divagazioni e con una grande attenzione al vissuto quotidiano di coloro che avrebbero pregato davanti all’opera d’arte, senza dimenticare la riflessione teologica tradizionale sui singoli episodi biblici. Ludovico applica la normativa alla lettera, nel primo caso riducendo al minimo i particolari dello sfondo, che è comunque identificabile, nel secondo collocando ai piedi del leggio della Madonna una cesta dei panni, rievocando la leggenda popolare, attestata nel Protovangelo di Giacomo e cara alla tradizione orientale, secondo la quale l’arcangelo avrebbe cercato di parlare a Maria presso un pozzo, ma ella si sarebbe rifugiata in casa, spaventata dal tuono che annunciava il messo divino.
Gli elementi dello sfondo permettono di qualificare la “casa” come un coro monastico dei tempi di Carracci, illuminato da una grande finestra dalla quale entra la colomba dello Spirito Santo. Il pavimento ha disegni geometrici come nella pittura rinascimentale, ma i colori non sono tali da concentrare l’occhio del visitatore su particolari meramente decorativi. Si intravedono, dietro i personaggi, anche delle porte, chiaro riferimento alle Litanie lauretane: la Madonna è Ianua Coeli.
Maria è presso un grande inginocchiatoio-leggio e sta leggendo i Salmi, come vuole sempre la tradizione iconografica. L’abito è rosso, colore dell’amore, ma soprattutto della Passione e della natura umana del Nascituro. La Donna è sfiorata dolcemente da un raggio dorato, segno evidente del concepimento verginale.
Importante anche l’abbigliamento dell’angelo: san Gabriele indossa un camice liturgico e una stola rossa incrociata sul petto, il tutto stretto alla vita da un cingolo, alla maniera dei sacerdoti. La simbologia del colore rosso è già nota, così come quella del giglio bianco che dona alla Vergine, mentre non si è riflettuto abbastanza su questa caratterizzazione propriamente liturgica. L’arcangelo porta alla Vergine la parola di Dio, ed essa diventa immediatamente efficace, non appena raccolto il consenso di Maria. Quasi allo stesso modo, il sacerdote cattolico attua efficacemente la Transustanziazione non utilizzando parole sue, ma ripetendo la formula trasmessa da Cristo ai suoi discepoli. Si tratta di un’analogia, perché il modo di agire del prete sulle sacre specie è molto più determinante, ma in entrambi i casi ad operare è lo Spirito Santo. Ad ogni modo, il sacerdote che guarda quest’immagine è richiamato all’essenziale del suo ministero: egli è il mediatore indispensabile che rende ancora Gesù realmente presente nel mondo.
Sabato, 10 dicembre 2022