Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. (Lc 14, 1.7-11)
Luca inquadra nel contesto del medesimo banchetto due sentenze di Gesù sulla scelta dei posti: le due regole, una negativa e una positiva sono redatte in perfetta simmetria stilistica. Gesù non si preoccupa certo di dare delle norme profane per questioni di protocollo, ma coglie l’occasione per una ammonizione di carattere escatologico: per entrare nel regno dei cieli è necessario diventare umili e non avanzare pretese innanzi a Dio. L’umiltà, diceva Santa Teresa d’Avila, è verità. È probabile che Luca qui tenga presente delle diatribe che sorgevano nelle adunanze cristiane per questioni concernenti il rango e i posti d’onore. Gesù osserva appunto l’ambizione degli invitati nel procurarsi i primi posti a tavola. La questione delle precedenze era molto sentita nell’antico Israele. L’umile è percepito come un rinunciatario, uno sconfitto, uno che non ha nulla da dire al mondo. Invece questa è la via maestra, e non solo perché l’umiltà è una grande virtù umana, ma perché, in primo luogo, rappresenta il modo di agire di Dio stesso. È la via scelta da Cristo, il Mediatore della nuova alleanza, il quale, “apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce“ (Fil 2, 8). Sentiamo tante critiche alla chiesa, proposte improntate all’arroganza, alla violenza, alla cultura della morte che altro non sono che l’ultimo paravento del nichilismo. Il relativismo odierno conferma che nulla esiste di alternativo al cattolicesimo, cioè all’amore vero, con uno stile sobrio e solidale, con relazioni affettive e pure, con l’impegno onesto nello studio, nel lavoro, nella famiglia e nell’interesse profondo per il bene comune. Nessuna paura allora e soprattutto nessuna cristofobia nel farci vedere diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda: i vostri coetanei, ma anche gli adulti, e specialmente coloro che sembrano più lontani dalla mentalità e dai valori del Vangelo, hanno un profondo bisogno di vedere qualcuno che osi vivere secondo la pienezza di umanità manifestata da Gesù Cristo. Quella dell’umiltà non è dunque la via della rinuncia ma del coraggio. L’umile, proprio perché ha una giusta percezione di sé, non ricerca un posto per esistere ma lascia che la sua esistenza possa essere resa tale dall’amore gratuito di un Dio che si accorge soprattutto di coloro che confidano completamente in Lui. L’umiltà è smettere di confidare in sé stessi e nelle nostre granitiche certezze, escludendo così di fatto la dinamica del mistero che altro non è che Dio che ci supera e ci stupisce.