Di Antonio Sanfrancesco da Famiglia Cristiana del 25/10/2022
La notizia è stata ufficializzata lo scorso fine settimana. La Santa Sede ha rinnovato l’Accordo provvisorio con la Cina per la nomina dei vescovi. Stipulato il 22 settembre del 2018, era stato rinnovato una prima volta il 22 ottobre del 2020 e prorogato per un altro biennio. Il Vaticano ha assicurato l’intenzione di «proseguire il dialogo rispettoso e costruttivo» con la Cina sia per l’attuazione dell’accordo che «per un ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali, in vista di favorire la missione della Chiesa cattolica e il bene del popolo cinese». Un dialogo che guarda dunque in avanti, in un momento in cui preoccupano in tutto il mondo le tensioni scatenate dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
L’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi ha l’obiettivo di superare la divisione tra le due Chiese in Cina, quella ufficiale, in cui le nomine venivano fatte dal governo di Pechino, e quella cosiddetta “clandestina” che rispondeva a Roma. La proroga dell’Accordo è maturata «dopo un’amichevole consultazione», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wang Wenbin, in merito all’annuncio della Santa Sede, confermando la chiusura positiva dei negoziati.
I risultati di questi anni «possono sembrare piccoli ma, per chi guarda alla storia con gli occhi della fede, sono passi importanti verso la progressiva guarigione delle ferite inferte alla comunione ecclesiale dalle vicende del passato», ha detto il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, «non ci nascondiamo le non poche difficoltà che toccano la vita concreta delle comunità cattoliche».
Quali sono i punti deboli dell’intesa? Com’è la situazione attuale dei cattolici cinesi? Lo abbiamo chiesto a padre Gianni Criveller, missionario del Pime e sinologo.
Dopo il rinnovo nel 2020, perché l’accordo non è stato stabilizzato?
«Per due motivi, credo. La prima potrebbe essere l’insoddisfazione da parte Vaticana, come dimostrano le dichiarazioni del Papa e dei cardinali Parolin e Tagle, circa il funzionamento dell’accordo. Si sperava in risultati migliori e si spera ancora in qualche miglioramento. Forse si ritiene che la pandemia ha impedito contatti più stretti e frequenti. Non lo so, potrebbe essere vero, anche se secondo me più che la pandemia, conta la sincerità politica da parte della Cina».
Quante sono le nomine episcopali che sono state fatte durante l’accordo?
«Solo sei, di cui due già decise prima dell’accordo. Nessuna nomina nel 2022, solo due nel 2021, a fronte di quasi quaranta diocesi senza vescovo. I risultati sono oggettivamente modesti. Sappiamo che la vita cattolica ha bisogno del vescovo, e che oggi sono numerosi i presbiteri con l’età e la preparazione per essere eletti vescovi. Anche prima del 2018 c’erano nomine episcopali su cui c’era una convergenza (anche se non negoziata) tra Vaticano e Cina. Dunque su questo ci si sarebbe aspettato di più».
Il Segretario di Stato Parolin, ad aprile scorso sperava nella “revisione di alcuni punti”. Quali potrebbero essere, posto che l’accordo è segreto?
«È una domanda a cui dovrebbe rispondere il cardinale Parolin. Io posso solo immaginare che forse Parolin, che ha molto a cuore la Chiesa cattolica in Cina, intendeva trovare il modo per avere un numero più elevato di nomine. Forse pensava alla penosa questione che obbliga preti e vescovi della chiesa aperta a firmare una “registrazione civile”, e al fatto che chi non aderisce viene messo in grave difficoltà. Più in generale penso che la Santa Sede intenda questo accordo come un primo passo, auspicando che l’interlocutore sia disponibile a rivedere le norme che riguardano una maggiore libertà religiosa».
Qual è la situazione attuale dei cattolici cinesi?
«È una domanda che richiederebbe una risposta lunga e articolata. La Cina è enorme e la situazione cambia da provincia e provincia, nord e sud, est e ovest, città e villaggi rurali. È piuttosto agevole dimostrare che le cose in Cina vanno bene o vanno male. Basta ricordare gli episodi che favoriscono una tesi di partenza e tralasciare gli altri. Vengo da un convegno che ha riunito a Macerata una cinquantina di giovani studiosi, presbiteri e religiose cinesi attualmente in Europa. Ho ascoltato le loro storie. La fede di queste sorelle e di questi fratelli; la resilienza delle comunità dalle quali provengono sono una testimonianza davvero meravigliosa. La vita cattolica in Cina è messa a dura prova, gli spazi della libertà sono diminuiti, la politica della “sinizzazione” imposta dal governo intende inquinare i pozzi della fede cattolica. Ma nonostante tutto questo la fede in Cina non muore».
In che modo Pechino controlla l’attività pastorale del clero e dei fedeli cattolici?
«Oggi anche le comunità cattoliche cadono sotto la politica della “sinizzazione’. C’è poco spazio per un pensiero che non sia quello imposto. Per “sinizzazione” si intende il programma ideologico secondo il quale tutto in Cina, compreso le fedi religiose, le culture e le arti, deve avere “caratteristiche cinesi”, stabilite dalle autorità governative. Il controllo si esercita anche in modi più tradizionali, come l’applicazione piuttosto severa delle norme imposte il 1° febbraio 2018, che includono, per esempio, l’impossibilità di ammettere i minori alla pratica religiosa. Non ovunque queste norme sono applicate, per fortuna. Ma quando lo sono mettono a repentaglio la trasmissione della fede nelle famiglie, dopo che la fede è stata conservata anche nel corso della persecuzione. Gli adolescenti cinesi hanno gli stessi modelli dei loro coetanei nel mondo: non è dunque improbabile che il germe della fede venga sradicato dai loro cuori. Un altro problema è che i giovani vescovi e i preti non si possono incontrare liberamente tra loro, ma solo nell’ambito delle strutture di controllo preposte dalle autorità della politica religiosa. C’è il rischio che la loro formazione si riduca alle riunioni di indottrinamento politico alle quali sono obbligati a partecipare».
L’arresto del cardinale Joseph Zen, ora sotto processo a Hong Kong, ha influito sul rinnovo dell’accordo?
«No, in nessun modo. L’arresto di Zen, ora libero su cauzione, riguarda la situazione politica di Hong Kong e non quella della libertà religiosa in Cina».
Ma alla fine, secondo lei, questo Accordo andava rinnovato o no?
«Occorre essere consapevoli che l’agenda politica del regime cinese potrebbe essere contraria agli obiettivi che la Santa Sede spera di raggiungere con l’Accordo. Per quello facciamo presente le difficoltà: non per distruggere il dialogo ma perché esso porti frutti migliori e non porti ad esiti negativi. Al contempo, la Santa Sede è certamente consapevole delle difficoltà, e in nessun modo ha rinnovato l’Accordo a cuore leggero. È un evento storico che deve essere ancora valutato fino in fondo. C’è ancora speranza. Il dialogo con gli interlocutori più caparbi e difficili è senz’altro più meritorio dei dialoghi con chi ti dà ragione. Il Papa vuole superare in sincerità e generosità i suoi interlocutori. Io penso che una volta aperto un canale, esso debba essere tenuto in vita, sperando in risultati migliori».