Di Martina Pastorelli da La Verità del 21/10/2022
Il reddito di cittadinanza che va mantenuto ma ritarato; l’eterna crisi del Meridione con una classe dirigente inadeguata e una burocrazia che azzoppa le imprese; i cattolici con l’elmetto sulla guerra in Ucraina e le migrazioni causate dalla mala politica delle grandi potenze. Parla monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza episcopale siciliana.
Siamo alla vigilia di un possibile tracollo del sistema economico: già si intravede che il prezzo più alto sarà pagato dalle fasce più deboli, in un contesto di povertà assoluta crescente. Quale parola si leva dalla Chiesa verso chi ha la responsabilità di gestire questa crisi?
«Come vescovi chiediamo due livelli di intervento: uno base, che aiuti chi non ce la fa con bonus di vario tipo e sostegni alle categorie, in modo da garantire un minimo di
reddito ai più poveri e prevenire il crollo totale. Una forma di assistenza che è necessaria ma che non può continuare all’infinito. C’è quindi un secondo livello su cui lo Stato deve impegnarsi: quello dello sviluppo del lavoro. Le regioni italiane – Sicilia in testa – non hanno inoltre saputo approfittare degli aiuti europei (dai trasporti alla sanità le infrastrutture sono vetuste e in rovina) e causa burocrazia e mancanza di progettualità molti bandi sono stati mancati, laddove altri Stati hanno saputo beneficiare di più e meglio dei fondi comunitari. Da noi c’è poi una corruttela conclamata per cui i denari non producono quello che potrebbero perché una parte si
perde per strada in modo ingiusto».
I recenti dati Caritas confermano che il Mezzogiornorimane l’area del Paese più in difficoltà…
«È dall’unità d’Italia che il Meridione non riesce a rialzarsi e per tanti motivi, tra i quali quello di una classe dirigente non sempre all’altezza. L’emigrazione dalla Sicilia è un problema: in dieci anni se ne sono andate 135.000 persone, in maggioranza giovani universitari o neolaureati. Mentre esportiamo cervelli rimaniamo con una classe dirigente molto povera, spesso sistemata in maniera clientelare o comunque non premiale, e con una burocrazia incredibile che azzoppa le imprese e le fa collassare. Il reddito di cittadinanza di cui oggi tanto si parla solleva opinioni discordi: da un lato chi lamenta di non trovare personale perché demotivato a lavorare dal sussidio, dall’altro chi protesta per l’assenza di impieghi regolari e propriamente retribuiti… io penso che la verità stia a metà: che questo reddito sia comunque un valore, che
abbia fatto del bene soprattutto in epoca di lockdown e di difficoltà legate al Covid, ma che vada rivisto e collocato meglio. Una cosa, soprattutto, manca: lo sbocco del lavoro. La società siciliana non fiorisce e non da speranza».
Da membro del Pontificio Consiglio della cultura cosa pensa della tendenza – rafforzatasi prima con la pandemia e ora con la guerra – a polarizzare le posizioni «mostrificando» l’altro? Si sta tornando alle ideologie del secolo scorso che creano contrapposizioni continue?
«Nella cultura occidentale il capitalismo liberista ha promosso meccanismi molto individualistici e ha promesso utopie che hanno spinto le persone ad illudersi. A questo si aggiunge la continua rivendicazione di un’infinità di diritti ma nessun cenno alla questione dei doveri: in tutti i campi l’aspetto etico è stato totalmente surclassato a vantaggio di una economia selvaggia. E siccome il sistema capitalistico senza alcuna regola crea pochi ricchi e sempre più poveri, sta crescendo la rabbia di chi era stato illuso di poter avere e fare tutto. Questa rabbia diventa una dinamite sociale che crea uno scontro quotidiano: siamo tutti contro tutti perché c’è una insoddisfazione diffusa, testimoniata dal 40% che non vota più e da una politica urlata che manca di visione e parla alla pancia delle persone. Ormai si getta discredito sull’avversario politico, cosa che prima non accadeva: l’opposizione si combatteva con le idee. Oggi – e vale non solo per i politici ma per ogni categoria – assistiamo a un crollo di dignità, stile, rispetto e valori etici».
Veniamo al conflitto in Ucraina: il partito della guerra a oltranza annovera tra le sue fila anche molti cattolici. A cosa è dovuto questo cortocircuito e come sanarlo?
«Intanto è una grande afflizione sapere che tutte le parti in causa che si stanno combattendo, direttamente e non, sono popoli che hanno ricevuto il Vangelo, in cui molti di loro ancora credono. Questo ci dice che siamo davanti a uno scontro fratricida, il che aggrava la situazione dal punto di vista etico. Come in tutte le guerre poi, la contrapposizione si estende alle tifoserie tra chi porta avanti ragioni vere o presunte per supportare l’una o l’altra parte. Ma chi guarda dall’esterno vede che qualunque ragionamento è surrettizio ed è perdente. È vero, come sottolineava il presidente Mattarella, che per ristabilire la pace servono verità e giustizia ma i ragionamenti finiscono per annullarsi se, da parte di tutti, non si fa un passo indietro, cominciando a stare più zitti, ad ascoltare e calmierare. Finché pronunciamo parole di sostegno e ci esprimiamo su ragioni e contro ragioni, il livello del conflitto può solo alzarsi».
La Sicilia continua a essere il punto d’arrivo di migrazioni fuori controllo, lasciata sola davanti a un problema che sembra ormai solo italiano…
«Non solo qui i barconi continuano ad arrivare ma la situazione si è fatta ancora più ingarbugliata, tra chi fugge dalla guerra in Ucraina e le periodiche minacce turche di liberare milioni di persone in Europa. Intanto però sono emersi dei fatti: in alcuni Stati africani operano cosche che spingono le persone a venire da noi facendogli intravedere l’Eldorado e creano così una catena malavitosa. Ma alle grandi potenze e entità – Stati Uniti, Cina, ma anche Onu e Unione europea – sembra non importare. Di più: facendo pressione sui territori, lucrando sulle materie prime, investendo solo per i propri interessi, favoriscono l’esodo. Perché non hanno a cuore la questione della dignità della persona umana e non si impegnano a custodirla bloccando queste catene della malavita? Eppure per farlo avrebbero tutti i mezzi, di polizia e anche
militari. Basterebbe pochissimo, se volessero, per fermare questo circolo criminale e sviluppare la mobilità in modo ordinato: emigrare è un diritto ma lo è anche poter restare nel proprio paese senza essere costretti a fuggire».