A colloquio con l’arcivescovo Shevchuk che guida la Chiesa greco-cattolica ucraina «Un’escalation? C’è dall’inizio della guerra»
Inviato a Kiev, avvenire on-line del 17 novembre 2022
Fra le mani ha la lettera che gli ha appena inviato papa Francesco. «Ancora una volta il Pontefice esprime la sua “affettuosa vicinanza” alla “cara popolazione ucraina”. E ci invita a stare vicini a “quanti sono oppressi dalla paura e dalla violenza bellica”». L’arcivescovo maggiore della Chiesa grecocattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, la mostra per testimoniare come Francesco «ci abbia sempre nel suo cuore», spiega. Si scorge l’ingresso della Cattedrale della Risurrezione dal suo appartamento ospitato al secondo piano della sede patriarcale a Kiev. Da sotto sale il rumore di un cantiere. «Stiamo concludendo i lavori per realizzare una cucina alimentata con un generatore diesel che preparerà pasti caldi per chi non avrà in casa l’energia elettrica e il riscaldamento ». Poi indica i condomini di quindici o venti piani lungo la riva sinistra del Dnep, il fiume che divide in due la capitale. «Queste sono zone residenziali. Nelle abitazioni il riscaldamento arriva da una centrale e tutto il resto funziona a corrente. Non averla significa lasciare anche senza pasti il popolo». Perché l’ultima strategia di Putin è quella di bombardare le stazioni elettriche dell’Ucraina per mettere in ginocchio una nazione con l’inverno alle porte, come è accaduto di nuovo martedì con la pioggia di missili su tutto il Paese. Mezza Kiev è rimasta senza corrente. «Si tratta di un crimine di guerra, di un comportamento immorale che intende causare una nuova crisi umanitaria», avverte. La sua gente lo chiama il “patriarca”: ha 52 anni e dal 2011 guida la Chiesa grecocattolica ucraina. Fin dall’inizio dell’invasione russa ha denunciato le «atrocità subite»: devastazioni a tappeto, torture, stupri, fosse comuni. «Ed è di queste ore l’informazione che 46 bambini sono scomparsi nel nulla: era stato organizzato un “campo scuola” nei territori occupati di Zaporizhzhia dalle autorità locali ma i ragazzi non sono mai stati riconsegnati alle famiglie», riferisce in un italiano fluente. Mai ha lasciato il Paese da quando è stato attaccato. Solo nei giorni scorsi è venuto a Roma per un’udienza con Francesco.
Il Papa chiede di aprire un negoziato. E lo ha fatto chiamando per nome Putin e Zelensky.
L’invito ai due presidenti risale a quell’Angelus in cui ha condannato le annessioni russe di quattro regioni dell’Ucraina appellandosi al diritto internazionale che garantisce l’inviolabilità dei confini di uno Stato sovrano. Parole davvero coraggiose. Ma ritengo sia storico tutto il suo discorso e sono persuaso che marcherà la storia dell’Europa centro-orientale ma anche di tutta la Chiesa cattolica di fronte al dramma di un conflitto.
Perché?
L’appello ai due presidenti colpisce per la sua asimmetria. Intanto il Papa chiede a Putin di fermare l’aggressione. Si tratta di qualcosa di straordinario visto che la parte russa è prigioniera della propria logica di guerra. Poi, rivolgendosi a Zelensky, lo esorta ad accettare « proposte serie di pace». Un’espressione che rivela la profonda saggezza del Pontefice ma che forse non è stata compresa a pieno.
Quali sono le condizioni?
Dall’operazione in Georgia, la Russia ha mutato la nozione di «proposta di pace». Per il Cremlino la pace è la pacificazione di una colonia che ha conquistato. Ed è una pace che va imposta. Di fatto, si tratta di una resa. Questo modello è inaccettabile: allora non è «serio», secondo la concezione del Papa. Invece posso assicurare che tutta l’Ucraina vuole la pace. Ad esempio, il nostro presidente aveva fatto della pace con la Russia un punto chiave del programma elettorale. Come Chiesa educhiamo a costruire la pace. Ma anzitutto serve riconoscere il diritto all’esistenza dell’Ucraina. Cosa negata anche recentemente da Putin. Poi è necessario assicurarle una sua soggettività: questa è la premessa del dialogo. Se giungerà una seria proposta di pace, il Paese la accetterà con grande gioia. Perciò preghiamo affinché tutto ciò avvenga.
La Santa Sede può assumere il ruolo di mediatore?
Senza dubbio. Lo afferma anche il Papa nella lettera che mi ha inviato: «Assicuro che la Santa Sede a vari livelli e in diversi ambiti continua ad adoperarsi affinché si ponga fine al conflitto e prevalgano tutti i propositi e le azioni di pace». Francesco ci dice che la diplomazia vaticana è al nostro servizio. Già dall’inizio della guerra in Donbass e in Crimea, la Santa Sede si è sempre dichiarata disponibile alla mediazione. Il nostro presidente Zelensky ha persino ipotizzato che la Città del Vaticano possa essere il luogo fisico dell’incontro. Tuttavia occorrono alcune premesse: primo, ambedue le parti devono concordare sull’urgenza della mediazione; secondo, si ascoltano le ragioni dell’uno e dell’altro; terzo, le parti si impegnano a rispettare quanto scaturisce dal tavolo.
Teme un’escalation?
L’interaguerraèstataun’escalation. E adesso, dopo le ultime sconfitte russe sul campo di battaglia, veniamo minacciati con le armi nucleari. Però nella gente la paura ha superato quel limite psicologico che non la fa più percepire. Questo è un male perché il pericolo non è sicuramente diminuito. E in tanti ripetono: «Ci hanno bombardato le case, ci colpiscono con razzi e droni kamikaze; ma quale differenza fa morire per un missile o per una bomba atomica?». Ciò dice che come ucraini non abbiamo scelta: dobbiamo lottare per la nostra sopravvivenza. Ma nessuno è scoraggiato e la gente capisce che arrendersi vuol dire peggiorare la situazione.
Che cosa le riferiscono i sacerdoti che sono nelle zone occupate?
Intento degli occupanti è spopolare i territori. E non sappiamo la ragione. Infatti dichiarano che sono venuti per proteggere la popolazione: ma perché allora distruggere tutto? Poi assistiamo a sistematici episodi di deportazione. A Kherson è in corso una pulizia etnica. È dovere della Chiesa proteggere i più vulnerabili e, se necessario, dare loro voce. Ecco perché raccontiamo al mondo ciò che succede.
Questa è la guerra di Putin o del popolo russo?
La Russia non è un Paese democratico. Nessuno si interessa di che cosa pensi il popolo. E la gente è martellata da una campagna incentrata sulla supremazia della nazione russa. Certamente la società russa ha subìto questa propaganda, ma l’ha anche sposata se è vero che il 65% della popolazione appoggia la guerra. Ci spiace se è così. Quando vediamo le lacrime delle madri russe che piangono per la morte dei propri figli, abbiamo pietà e piangiamo con loro. E ci rendiamo conto della sofferenza del popolo russo: penso alle enormi perdite in termini di vite; alla mobilitazione forzata voluta dal governo; alle centinaia di migliaia di persone che fuggono per non andare a uccidere. Il governo russo ha una condotta irresponsabile anche nei confronti del proprio popolo. Pertanto mi auguro che nell’opinione pubblica russa prevalga un sentimento di pace. È evidente che iniziare la guerra è stato uno sbaglio, ma bisogna avere il coraggio di riconoscerlo. E noi, vittime di questa follia, preghiamo anche per i nemici: infatti ogni martedì tutta la nostra Chiesta invoca il Signore per la conversione degli aggressori.
Il patriarca russo Kirill ha benedetto l’invasione. La guerra in Ucraina sta dividendo i cristiani?
È sotto gli occhi di tutti. I cristiani sono divisi anche nel valutare il conflitto. Ma nessuno giustifica l’attacco, tranne la Chiesa ortodossa russa in Russia. Anche la Chiesa ortodossa russa fuori della Russia ha una posizione diversa. Tuttavia il modo con cui la Chiesa ortodossa in Russia sostiene la guerra fa venire in mente la dottrina del Daesh. Lo Stato islamico ha usato la religione per legittimare la violenza più crudele: lo stesso notiamo nella predicazione diretta del patriarca di Mosca e dei sacerdoti in posizione di vertice. Poi il Daesh considerava immorale l’Occidente che quindi andava combattuto: è ciò che dice anche la Chiesa russa. Il Daesh invitava a immolarsi per la causa assicurando la felicità eterna: lo stesso emerge dalle parole di Kirill. Il mondo islamico ha creato al suo interno gli anticorpi per proteggersi dalle provocazioni ideologiche del Daesh; adesso anche noi discepoli del Risorto siamo tenuti a isolare questa chiara strumentalizzazione del Vangelo.
Si annuncia un inverno difficilissimo. C’è bisogno della vicinanza dell’Occidente?
L’Ucraina auspica una solidarietà a vari livelli. Anzitutto chiediamo al mondo di condannare gli atti che colpiscono la popolazione. Inoltre il Consiglio delle Chiese in Ucraina, che riunisce cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei e musulmani, ha appena lanciato un appello per proteggere il nostro cielo. A qualcuno sembrerà strano che le Chiese chiedano sistemi antimissile: ma non pretendiamo strumenti per uccidere, ma solo per salvare le persone. Poi chiediamo ogni tipo di assistenza anche tecnica per riparare i danni alle nostre infrastrutture energetiche: fino a poco tempo fa l’Ucraina esportava la sua energia in Europa; ora vorremmo che l’Europa ci soccorresse in questo fondamentale ambito. Ringrazio comunque il popolo italiano sia per gli aiuti che ci fornisce, sia per l’accoglienza dei profughi di guerra. E la Cei che ogni anno sostiene la nostra Chiesa con un sussidio che diventa vitale soprattutto quando cadono le bombe.
La pace avrà necessità anche di una purificazione interiore?
Come comunità ecclesiale abbiamo approvato il piano pastorale fino al 2030. E c’è una parte dedicata alle ferite da risanare. Siamo consapevoli che la guerra non porta solo ferite corporee, ma alimenta anche l’odio e la vendetta. Servirà tempo affinché la pace sia scritta non solo sulla carta ma anche nei cuori, come ci ricorda la Parola di Dio. Aggiungo che, una volta fermate le ostilità, occorrerà indicare chi sono i criminali; altrimenti non si può parlare di giustizia. Quindi andrà iniziato un cammino che abbia come orizzonte la verità oggettiva, non preconfezionata: molti russi non sanno ciò che ha fatto il proprio esercito in Ucraina. E ci sarà bisogno anche di un tempo per pregare insieme sulle tombe di tutte le nostre vittime.
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Bombardare gli snodi energetici è «un atto criminale». Putin «ha una condotta irresponsabile verso il suo popolo. Anche noi piangiamo con le madri russe che perdono i figli»
L’arcivescovo Shevchuk davanti alla chiesa di Irpin devastata da un missile Al centro, la lettera del Papa inviata al presule.
Sotto, Kateryna con i suoi figli, fra i poveri di guerra di fronte alla Cattedrale di Kharkiv / Gambassi