Di Gianni Criveller da Mondo e Missione del 26/11/2022
La condanna che il 25 novembre la giudice Ada Yim ha comminato al novantenne cardinale Joseph Zen e ad altri cinque esponenti del movimento democratico di Hong Kong può essere interpretata in due modi.
Molti a Hong Kong lo interpretano un provvedimento intimidatorio, atto ad inviare un avvertimento a chi ha creduto e sperato nella democrazia. Si tratta pur sempre di una condanna, e della condanna di un vescovo e cardinale, un fatto senza precedenti per Hong Kong.
D’altra parte si può leggere nella modesta dimensione pecuniaria della pena, circa 500 euro, la volontà di chiudere in modo ridimensionato una vicenda che si stava rivelando imbarazzante per le autorità di polizia, della magistratura e della politica di Hong Kong.
Entrambi le letture sono giustificate e contengono una loro verità.
L’ordinanza in base alla quale viene condannato il cardinale e compagni risale al 1911 ed è una legge che le autorità coloniali inglesi in quel tempo lontanissimo avevano introdotto per contrastare società segrete, quelle mafiose innanzitutto e forse anche affiliazioni massoniche fuori controllo. Ricorrere ad una legge obsoleta, estranea alla realtà sociale e politica emancipata e post coloniale dell’Hong Kong di oggi, mostra la natura strumentale della causa contro il cardinale e i suoi compagni di sventura.
C’è da sperare che la vicenda si concluda così: lo stesso cardinale Zen non ha voluto amplificare eccessivamente la vicenda processuale, sperando appunto in una soluzione di basso profilo, quasi indolore. C’è dunque da sperare, anche se la cosa non sembra ancora del tutto chiarita, che il cardinale non venga chiamato a rispondere del reato di ‘collusione con forze straniere’, come era sembrato in seguito all’arresto. Quest’ultimo reato, introdotto dalla legge sulla sicurezza nazionale del 2020, può essere punibile con lunghe condanne al carcere, e avrebbe un enorme e inquietante significato politico.
La condanna del cardinale non riguarda la questione della libertà religiosa a Hong Kong, tanto meno quella in Cina. E non è un messaggio della Cina al Vaticano. Questa condanna riguarda la vicenda della democrazia e della libertà di Hong Kong, e Zen è stato condannato non in quanto leader cattolico ma in quanto leader democratico. Che poi quasi tutti i leader democratici, molti dei quali in prigione, abbiano una formazione cristiana è un significativo dato di fatto, come abbiamo spesso rilevato.
AsiaNews ha rivelato che il cardinale Zen non ha voluto che la sua pena fosse minore rispetto a quella degli altri imputati, tra i quali la nota cantante Denise Ho. Credo che Zen volesse sottolineare proprio questo: «Sono in questa vicenda non per la mia identità religiosa, ma come un cittadino di Hong Kong che si è impegnato per la democrazia».
Occorre dunque che venga messa al centro dei commenti sul cardinale Zen non tanto la sua affiliazione religiosa e il legame che, in quanto cardinale, ha istituzionalmente con il Vaticano. Il tema qui è la soppressione del movimento democratico e la fine della libertà politica di Hong Kong. Una tragedia politica e sociale della quale gravità non c’è adeguata consapevolezza. Dopo la fine democratica di Hong Kong abbiamo avuto l’orrifico colpo di stato nel Myanmar; le manovre per intimidire Taiwan; l’involuzione autocratica della Cina, come da esito dell’ultimo congresso del Partito comunista. Dopo Hong Kong, in questo nostro tempo c’è sempre meno libertà, democrazia e pace.