In quel tempo, Giovanni chiamati due dei suoi discepoli li mandò a dire al Signore: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Venuti da lui, quegli uomini dissero: “Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?””. In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”. (Lc 7, 19-23)
Giovanni è perplesso. Quando stava nel deserto, era riuscito a vedere giusto. In prigione pare non raccapezzarsi più. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?” Certo, lui non aveva mai accampato pretese. Il Protagonista era un altro. “Lui deve crescere e io diminuire” (Gv 3, 30). Pensava che nessuno avrebbe potuto togliergli almeno quella gioia: veder “crescere” l’Altro. Invece quello continuava a diminuire. Gesù non dava nessuna concessione a una facile popolarità. Stava alla larga dal potere. Giovanni aveva parlato di “mietitura”, di raccolto. E Gesù parla invece in termini di “seminagione”. Giovanni lo “vedeva” con il ventilabro in mano, intento a ripulire l’aia, a spazzare via i nemici, a separare nettamente i buoni dai malvagi, in modo definitivo.
Gesù, invece, accoglie tutti, fa bisboccia con i pubblicani e i peccatori, lascia intendere che il giudizio è rimandato alla fine, non è qui a separare ma ad accogliere. Giovanni gli aveva prestato una scure per abbattere, alla radice, tutti gli alberi cattivi, che non portano frutti. E Gesù, al contrario, inaugura il tempo della pazienza e del perdono. Gesù compie opere di guarigione e addirittura di resurrezione. Ma non sono quelle che si attendeva il suo Precursore e tanti altri del suo tempo. “E beato colui che non si scandalizza di me”. Giovanni ha visto giusto circa il tempo e la persona, ma ha sbagliato il modo e lo stile della sua azione. Questo dev’essere stato il suo più vero martirio, più tormentoso di quello inflitto da Erode! Un Dio che non sta alle nostre “ragionevoli” previsioni, non rimane nel nostro cerimoniale….è davvero insopportabile. Viene il dubbio che non sia Dio. Non è sufficiente accogliere Dio. Bisogna essere disposti ad accogliere un Dio “diverso”.
Ciascuno di noi è tentato di imprestare a Dio i propri sentimenti, gusti, talvolta perfino i propri risentimenti, le proprie meschinità. Siamo sempre pronti a suggerire a Dio come deve comportarsi. Abbiamo la pretesa di insegnargli il mestiere di Padre Eterno. Spesso vorremmo tirare Dio dalla nostra parte. Piuttosto è Lui che deve tirare noi dalla sua. Certo ateismo, più che rifiuto di Dio è rifiuto della sua caricatura. Occorre, perciò, accettare un Dio che distrugge il nostro Dio-idolo.
(cfr. Alessandro Pronzato – Pane per la domenica)