“Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”. (Mt 10, 17-22)
Il legame profondo che unisce Cristo al suo primo martire Stefano è la carità divina: lo stesso Amore che spinse il Figlio di Dio a spogliare sé stesso e a farsi obbediente fino alla croce (cfr. Fil 2, 6-8), ha poi spinto gli Apostoli e i martiri a dare la vita per il Vangelo. Bisogna sempre rimarcare questa caratteristica distintiva del martirio cristiano: esso è esclusivamente un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori. A pensarci bene la storia di Stefano è assolutamente in linea con il Natale, perché la preziosità di qualcosa la si misura da quanto uno è disposto a perdere per quel qualcosa.
Ieri non è nato un bambino qualunque, né semplicemente un bambino prodigio, ma un bambino per cui un giorno schiere di persone preferiranno dare la loro vita pur di non rinnegarlo, pur di non venir meno a quella buona novella dell’amore che è venuto ad annunciare. Non è fanatismo, è esigenza estrema dell’amore. È la stessa logica di una madre: non baratterebbe mai il figlio per salvarsi la vita. Il sacrificio di quella madre non è fanatismo è esigenza dell’amore. I martiri sono innanzitutto persone innamorate profondamente della vita, ma messi davanti alla scelta di dover scegliere per quale motivo vivere preferiscono non rinnegare quel motivo fino a morirne, perché non avrebbe più senso vivere rinnegando il motivo per cui la vita è degna di questo nome.
Si tratta sempre di scegliere tra ciò che vale e ciò che non vale. È il criterio ultimo per cui dovremmo vivere ogni giorno: dovremmo sempre domandarci se le cose che viviamo valgono o non valgono la nostra vita. Dovremmo sempre domandarci se stiamo scegliendo o ci stiamo soltanto lasciando trasportare dagli eventi. La cosa certa però è che per quanto drammatica possa essere la storia del martirio, il vangelo ci rassicura almeno su una cosa: “quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”.
I più grandi martiri sono morti con queste parole sovversive: “ti perdono”. Sono le stesse parole che Gesù pronuncia sulla croce per i suoi carnefici. Sono le medesime parole che Stefano pronuncia nei confronti dei suoi aguzzini.
(Cfr. L. Epicoco)