Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”. (Mc 7,31-37)
“Gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano”.
La Decapoli era un raggruppamento di dieci città organizzato dai Romani già sessanta anni prima della nascita di Gesù con una formazione culturale greco-romana in piena opposizione alle tradizioni semitiche di Israele. Così oggi in terra della Decapoli ecco presentarsi un sordomuto. I sordomuti a cui si riferisce il Vangelo non hanno nulla a che fare con i fratelli e le sorelle che vivono questo tipo di condizione fisica. Ciò non toglie che Gesù ha anche il potere di liberarci da questo tipo di malattie fisiche, ma quello che il Vangelo vuole mettere in evidenza ha a che fare con uno stato interiore di impossibilità di parlare e ascoltare. Molte persone che incontro nella vita sono affette da questa sorta di mutismo e sordità interiore. Puoi passarci le ore a discutere. Puoi spiegare nel dettaglio ogni singolo frammento della loro esperienza. Puoi implorarli di trovare il coraggio di parlare senza sentirsi giudicati ma la maggior parte delle volte preferiscono preservare la loro condizione interiore di chiusura. Un sordomuto – sia il malato fisico, come il grande peccatore – porta un dolore enorme, perché il suo è un dolore muto, inespresso. Non può parlare di sé, non può raccontarsi; vive come un pesce che guarda il mondo da un acquario. Un dolore non comunicato è assurdo, un dolore vissuto nella solitudine è straziante. Il sordomuto è simbolo di una umanità che grida silenziosamente ad un salvatore.
“portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”.
Solo a partire da un’intimità vera con Gesù è possibile passare da una condizione ermetica di chiusura a una condizione di apertura. Solo Gesù può aiutarci ad aprirci. E non dobbiamo trascurare che quelle dita, quella saliva, quelle parole noi continuiamo ad averle sempre con noi attraverso i sacramenti. Essi sono un evento concreto che rende possibile la medesima esperienza raccontata nel Vangelo di oggi. Ecco perché un’intensa, vera e genuina vita sacramentale può aiutare più di molti discorsi e molti tentativi. Serve però un ingrediente fondamentale: volerlo. Infatti la cosa che ci sfugge è che questo sordomuto viene si portato da Gesù, ma poi è lui a decidere di lasciarsi condurre da Gesù lontano dalla folla.
(cfr. L. Epicoco)