Da Libero del 23/01/2019. Foto da ilfriuli.it
Per tirarsi su di morale, nel carcere di Oristano, Cesare Battisti sta leggendo Se questo è un uomo di Primo Levi. Chissà se si immedesima più nell’ebreo perseguitato o se invece si trovi più a suo agio nei panni del soldato tedesco del campo di concentramento.
A Maurizio Turco e a Irene Testa, esponenti dei Radicali che ieri si sono recati in visita al penitenziario, l’ ergastolano rinchiuso in cella d’ isolamento ha raccontato di essere già alle prese con una propria nuova opera letteraria.
L’ unica speranza alla quale può aggrapparsi è ancora una volta il transito inavvertito che, da terrorista comunista pluricondannato per quattro omicidi, lo ha reso romanziere di grido. La ricetta consiste nel mescolare tante tragedie reali e una dose di narrativa, per confondere le idee a chi non ne ha tante.
Con quell’aria e quel passato da maudit, l’ ex capo dei Proletari Armati per il Comunismo era già diventato il beniamino degli intellettuali parigini e di conseguenza il protetto di numerosi governi.
LA TRASFORMAZIONE
Se anche stavolta riuscirà a ingannare un po’ di politici e di professionisti della manipolazione dell’ opinione pubblica, potrà dire di essere riuscito nuovamente a trasformarsi da carnefice in capro espiatorio. È la sua specialità. «Ci ha detto testualmente di non essere più quella persona che era 40 anni fa, che non ci si può accanire così e non si può scontare una condanna due volte», spiegano Testa e Turco all’ Adnkronos, reduci dalla loro opera di misericordia. Ci sta provando. È un diritto che non gli vorrebbe negare nemmeno Alberto Torregiani, figlio dell’ orefice milanese ucciso dai compagni di lotta armata capeggiati da Battisti. Parlando con Libero, commenta: «In carcere deve poter utilizzare tutte le “armi” che può gestire. Guai se dovessero fargli un torto. Prima di tutto perché gli deve essere garantito il trattamento che gli spetta per legge, al pari di tutti gli altri, e in secondo luogo perché se no la colpa ricadrebbe su di noi», cioè su coloro che rimangono segnati a vita dagli effetti della lotta armata. Mentre suo padre Pier Luigi fu colpito a morte dai terroristi comunisti, il 16 febbraio 1979 Alberto fu raggiunto da un proiettile che gli lese la colonna vertebrale, obbligandolo a rimanere a vita su una sedia a rotelle.
Pur non avendo nulla da lamentare circa le condizioni a cui è sottoposto attualmente nel penitenziario, Battisti, invece, «ci è rimasto male per come è stato trattato al suo arrivo in Italia», confida «di essersi sentito umiliato» e protesta «di non riconoscersi nella descrizione fatta della sua persona».
Ora, costretto paradossalmente a preoccuparsi perfino della sorte (e della fama di santità) di chi ha contribuito a ridurlo così, Torregiani osserva che il detenuto potrebbe chiedere «una punturina di anestetico per rimanere paralizzato una settimana e provare cosa significa essere tetraplegico». Si rivelerebbe un’ esperienza di vita indimenticabile, di partecipazione al dolore altrui.
LA STRATEGIA
In realtà, Battisti è comprensibilmente tutto concentrato su se stesso. Nelle ore trascorse in solitudine durante il giorno, egli si strugge pensando ai suoi tre figli, «che gli mancano moltissimo». Due di loro vivono in Francia e uno in Brasile. Alcuni parenti hanno prontamente presentato istanza per andarlo a trovare. Pian piano, tornerà a relazionarsi con il mondo esterno. Gli interlocutori non gli mancheranno. Gli assassini dietro le sbarre attirano inesorabilmente a sé ammiratori.
Torregiani prevede che «entro sei mesi succederà qualcosa», la strategia funzionerà e si riaggregherà del consenso. Basterà far tacere le vittime, denunciando la loro versione univoca dei fatti, per restituire infine voce ai carnefici. «Sono curioso di sapere quale casa editrice pubblicherà i suoi scritti», commenta Torregiani, il cui Ero in guerra. Ma non lo sapevo, scritto con Stefano Rabozzi e uscito faticosamente nel 2006, poi «fu boicottato» nelle librerie. Magari, se ce n’ è ancora in circolazione una copia, potrebbe andare ad arricchire la biblioteca del carcere di Oristano.
Andrea Morigi