Nella Chiesa non devono esistere divisioni ideologiche, perché tutto va conformato alle esigenze dell’annuncio del Vangelo
di Michele Brambilla
Il 22 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, l’udienza di Papa Francesco prende in esame il versetto evangelico «Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). «Andate – dice il Risorto –, non a indottrinare non a fare proseliti, no, ma a fare discepoli, cioè a dare ad ognuno la possibilità di entrare in contatto con Gesù, di conoscerlo e amarlo liberamente»: il proselitismo non rispetterebbe a sufficienza la libertà e l’intelligenza dell’ascoltatore, secondo il Papa. «Andate battezzando», aggiunge riferendosi proprio al sacramento: «battezzare significa immergere e dunque, prima di indicare un’azione liturgica, esprime un’azione vitale: immergere la propria vita nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo; provare ogni giorno la gioia della presenza di Dio che ci è vicino come Padre, come Fratello, come Spirito che agisce in noi, nel nostro stesso spirito. Battezzare è immergersi nella Trinità», ed è quindi soprattutto un’esperienza di comunione.
Il Pontefice specifica che «quando Gesù dice ai suoi discepoli – e anche a noi –: “Andate!”, non comunica solo una parola. No. Comunica insieme lo Spirito Santo, perché è solo grazie a Lui, allo Spirito Santo, che si può ricevere la missione di Cristo e portarla avanti (cfr Gv 20,21-22)». Nell’evangelizzazione il primato è sempre dell’azione divina. L’uomo coopera, ma attraverso il discepolo è sempre il Maestro che agisce. «Lo scopriamo negli Atti degli Apostoli, dove ad ogni pagina si vede che il protagonista dell’annuncio non è Pietro, Paolo, Stefano o Filippo, ma è lo Spirito Santo», rimarca il Santo Padre.
Certo, «allora, come oggi, insieme a consolazioni non mancavano tribolazioni – momenti belli e momenti non tanto belli -, le gioie si accompagnavano alle preoccupazioni, ambedue le cose. Una in particolare: come comportarsi con i pagani che venivano alla fede, con quanti non appartenevano al popolo ebraico, per esempio». Ne nacque una discussione, ma la Chiesa primitiva seppe ritrovare la propria unità attraverso il cosiddetto “concilio di Gerusalemme”. Stabilendo una volta per tutte il comportamento da adottare nei confronti delle carni consacrate agli idoli «e dunque, togliendo quasi ogni obbligo legato alla Legge» mosaica, gli Apostoli «comunicano le decisioni finali prese e scrivono così: “dallo Spirito Santo e da noi” (cfr At 15,28)». Non c’è azione ecclesiale che non sia accompagnata dallo Spirito Santo: il discorso di Papa Francesco prende spunto dal concilio di Gerusalemme per ricordare un principio ermeneutico che vale in tutte le occasioni analoghe nella storia della Chiesa. Il monito è trasparente quando il Santo Padre aggiunge che «ogni tradizione religiosa è utile se agevola l’incontro con Gesù. Potremmo dire che la storica decisione del primo Concilio, di cui beneficiamo anche noi, fu mossa da un principio, il principio dell’annuncio: nella Chiesa tutto va conformato alle esigenze dell’annuncio del Vangelo; non alle opinioni dei conservatori o dei progressisti, ma al fatto che Gesù raggiunga la vita della gente. Perciò ogni scelta, ogni uso, ogni struttura ogni tradizione sono da valutare nella misura in cui favoriscono l’annuncio di Cristo». Le parole si fanno ancora più pesanti quando descrive «divisioni ideologiche: “Io sono conservatore perché… io sono progressista perché…”. Ma dove c’è lo Spirito Santo? State attenti che il Vangelo non è un’idea, il Vangelo non è una ideologia: il Vangelo è un annuncio che tocca il cuore e ti fa cambiare il cuore, ma se tu ti rifugi in un’idea, in un’ideologia sia di destra sia di sinistra sia di centro, tu stai facendo del Vangelo un partito politico, una ideologia, un club di gente» chiusa che non ascolta più le necessità reali dei fratelli.
«Così lo Spirito fa luce sul cammino della Chiesa, sempre. Egli non è infatti solo la luce dei cuori, è la luce che orienta la Chiesa: fa chiarezza, aiuta a distinguere, aiuta a discernere. Per questo occorre invocarlo spesso; facciamolo anche oggi, all’inizio della Quaresima. Perché, come Chiesa, possiamo avere tempi e spazi ben definiti, comunità, istituti e movimenti ben organizzati ma, senza lo Spirito, tutto resta senz’anima. L’organizzazione non basta: è lo Spirito che dà vita alla Chiesa. La Chiesa, se non lo prega e non lo invoca, si chiude in sé stessa, in dibattiti sterili ed estenuanti, in polarizzazioni logoranti, mentre la fiamma della missione si spegne» tra le polemiche interne.
Francesco cita in proposito un importante confratello gesuita: «“È indubbiamente importante che nelle nostre programmazioni pastorali si parta dalle inchieste sociologiche, dalle analisi, dalla lista delle difficoltà, dall’elenco delle attese e delle lamentele. Tuttavia è assai più importante partire dalle esperienze dello Spirito: è questa la vera partenza. E occorre quindi cercarle, elencarle, studiarle, interpretarle. È un principio fondamentale che, nella vita spirituale, è chiamato primato della consolazione sulla desolazione. Prima c’è lo Spirito che consola, rianima, illumina, muove; poi verrà anche la desolazione, la sofferenza, il buio, ma il principio per regolarsi nel buio è la luce dello Spirito” (C.M. Martini, Evangelizzare nella consolazione dello Spirito, 25 settembre 1997)».
Come invita Papa Bergoglio, «proviamo a chiederci se ci apriamo a questa luce, se le diamo spazio: io invoco lo Spirito? Ognuno si risponda dentro. Quanti di noi preghiamo lo Spirito? “No, padre, io prego la Madonna, prego i Santi, prego Gesù, ma delle volte, prego il Padre Nostro, prego il Padre” – “E lo Spirito? Tu non preghi lo Spirito, che è quello che ti fa muovere il cuore, che ti porta avanti, ti porta la consolazione, ti porta avanti la voglia di evangelizzare e di fare missione?”. Vi lascio questa domanda: Io prego lo Spirito Santo?». Sia davvero la domanda che accompagna la nostra Quaresima.
Giovedì, 23 febbraio 2023