Nell’era dello sballo, dell’eccesso, del vivere senza limiti la virtù della temperanza è la più scomoda, la meno conosciuta, la più disertata, ma è anche una virtù necessaria perché l’uomo sia pienamente uomo.
di Mario Vitali
La temperanza “è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore. La temperanza è spesso lodata nell’Antico Testamento: «Non seguire le passioni; poni un freno ai tuoi desideri» (Sir 18,30). Nel Nuovo Testamento è chiamata «moderazione» o «sobrietà». Noi dobbiamo «vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt 2,12)” (CCC n.1809).
Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) nell’allegoria del buon Governo (Fig.1), presenta la temperanza come una giovane donna che tiene nella mano una clessidra, con cui invita a fare buon uso dei doni ricevuti. La clessidra, attraverso lo scorrere continuo della sabbia, raffigura l’avanzare continuo del tempo che si consuma e che non deve essere sprecato. L’immagine invita a moderare l’uso dedicato al godimento dei beni anch’essi finiti, esortando a impiegarlo con saggezza ed equilibrio.
Anche Piero del Pollaiolo (1443-1496) rappresenta la temperanza con la figura di una giovane donna (Fig.2) che esprime calma, compostezza e autocontrollo e che suggerisce l’idea del giusto mezzo. La giovane, infatti, tiene tra le mani una brocca e un bacile metallici adorni di pietre preziose, nell’atto di stemperare il vino con l’acqua (simboli eucaristici), segni di realtà opposte, come sono opposte tra loro la semplicità e lo sfarzo, oppure, l’eccesso e la sobrietà. La temperanza ha quindi la funzione di regolare nell’uomo gli slanci propri della sua natura, mediando tra gli opposti e conciliandoli attraverso l’ordine e la misura, così come, ad esempio, modestia e sfarzo si possono conciliare nella semplicità elegante.
Come tutte le altre virtù è seduta in trono, simbolo del dominio che l’animo nobile sa esercitare sugli impulsi eliminando gli eccessi, non opponendosi ai desideri o alle preferenze, ma ordinandoli secondo la giusta misura in modo armonioso.
Nella Cappella degli Scrovegni, Giotto (?-1337) presenta la temperanza con una figura femminile avvolta nel suo manto mentre regge una spada parzialmente fasciata da una cintura, e resa così quasi inoffensiva, simbolo della capacità di lottare senza farsi dominare dalla passione (Fig.3). La bocca è imbrigliata da un morso, segno di una lingua tenuta a freno e di moderazione nel parlare. L’opera di Giotto sembra richiamare il famoso proverbio “uccide più la lingua della spada”.
Il viso è sereno e tranquillo perchè l’ordine delle passioni non genera tristezza e afflizione, ma pace e gioia.
“L’uomo temperante è colui che è padrone di se stesso; colui nel quale le passioni non prendono il sopravvento sulla ragione, sulla volontà, e anche sul cuore. Comprendiamo pertanto come la virtù della temperanza sia indispensabile perché l’uomo sia pienamente uomo, perché il giovane sia autenticamente giovane. Il triste e avvilente spettacolo di un alcolizzato o di un drogato ci fa capire chiaramente come “essere uomo” significa, prima di ogni altra cosa, rispettare la propria dignità, cioè farsi guidare dalla virtù della temperanza. Dominare se stessi, le proprie passioni, la sensualità, non significa per nulla diventare insensibili o indifferenti; la temperanza di cui parliamo è una virtù cristiana, che noi impariamo dall’insegnamento e dall’esempio di Gesù … ”. (San Giovanni Paolo II, Udienza generale del 22 ottobre 1978).
Sabato, 18 marzo 2023