Il Santo Padre ai vescovi e ai cattolici italiani
«Lavoriamo… finché è giorno!»
L’attenzione e l’interesse che la pubblica opinione, cattolica e non cattolica, ha giustamente riservato ai pellegrinaggi apostolici del Santo Padre Giovanni Paolo II prima in terra d’Africa e poi in terra di Francia, «fille aînée de l’Eglise», hanno finito per sacrificare l’attenzione e l’interesse che meritava, almeno da parte dei cattolici italiani, il discorso che il Sommo Pontefice ha rivolto giovedì 29 maggio alla XVII assemblea generale dei vescovi della nostra nazione (1).
Non che, sia chiaro, la stampa non ne abbia dato notizia. Ma ne ha fatto, se così ci si può esprimere, un avvenimento «clericale» in senso proprio e stretto, sottolineandone cioè, e mettendone in risalto, spesso, solamente gli elementi relativi ai rapporti tra il Pontefice «Vescovo di Roma, Successore di Pietro nella Sede Romana» nonché «Primate d’Italia» e la CEI, la Conferenza Episcopale Italiana; e trascurandone, o almeno sottacendone e minimizzandone l’impianto e il messaggio a tutta la nazione italiana.
Questo impianto e questo messaggio, nei suoi temi salienti, ci pare invece importante diffondere e fare conoscere a quanti, in qualche modo e a qualsiasi titolo – membri della Chiesa docente oppure discente, gerarchia o laicato sono naturalmente interessati alla rinascita della Chiesa nel nostro paese e quindi alla restaurazione cattolica dell’Italia.
Il primo tema al quale il Santo Padre ha dato meritato risalto è relativo alla peculiarità dell’Italia, nazione cattolica legata in modo unico alla Santa Sede. «A noi […] è stata affidata direttamente da Dio – ha detto il Pontefice – la cura pastorale di un popolo, la cui storia civile e religiosa […] è stata sempre inscindibilmente intrecciata e legata a quella della Santa Sede, in rapporti unici che la distinguono dalle vicende storiche di ogni altro Paese; un popolo, soprattutto, la cui anima religiosa, la cui profonda matrice cattolica ha ispirato e marcato di sé, indubitabilmente, le manifestazioni della vita quotidiana, le forme della pietà, la convivenza familiare e civile, il sorgere delle istituzioni caritative, come le espressioni più alte dell’architettura religiosa, dell’arte figurativa e anche della letteratura». E questo legame inscindibile non è solamente patrimonio della storia, ma si verifica anche nella cronaca; non è soltanto del passato, ma anche del presente: «Assisi, Montecassino, Canale d’Agordo e Belluno, Treviso, Nettuno, Loreto e Ancona, Pomezia, Pompei e Napoli, Norcia, Torino, sono altrettante immagini di Chiesa, di popolo, di istituzioni, di persone singole, che tutte mi parlano della bontà e della fede del popolo italiano, e, meglio di ogni definizione verbale, testimoniano la straordinaria efficacia dell’animus religioso» di tale popolo, di cui sono ugualmente prove inequivoche gli «affollati pellegrinaggi che ricevo nel corso dell’anno – ha continuato il Santo Padre -, […] sempre tanto indicativi della convinzione di fede cattolica che pulsa nelle popolazioni delle varie regioni italiane». «Il fatto di provenire da un altro Paese, le cui tradizioni religiose sono tanto vive, sia pure in una situazione tanto diversa di storia, di cultura, di fisionomia psicologica, mi fa scoprire ogni giorno di più, e apprezzare con tanta maggiore emozione la ricchezza, antica e nuova, della vita cristiana in questo Paese, scelto dalle vie ineffabili di Dio ad ospitare al suo centro la Sede di Pietro, a custodire le reliquie degli Apostoli, a diffondere nel mondo la Parola liberatrice del Vangelo».
Dunque, il primo tema del discorso pontificio sottolinea lo stato, la natura particolare del nostro paese e fonda, come meglio non si potrebbe, un autentico amore di patria – perfettamente e radicalmente distinto da ogni nazionalismo rivoluzionario -, che ha di mira e deve avere di mira la grandezza cristiana di ogni nazione, e quindi anche della nostra, cioè la rispondenza di ogni nazione alla sua vocazione all’interno di una prospettiva provvidenziale (2).
Il secondo tema affrontato dal Santo Padre è relativo alle «necessità del momento presente, […] nel quadro generale della vita della Chiesa Italiana».
«Il quadro che offre l’Italia – ha sostenuto il regnante Pontefice – è quello di un Paese essenzialmente cattolico nel suo strato profondo, ma che, alla superficie, ha dovuto far fronte agli attacchi, i quali, dagli opposti fronti del laicismo e del materialismo – secondo le direttrici che ho analizzato nel mio discorso alla Città di Torino – hanno inferto danni gravi alla vita spirituale della Nazione: pensiamo alla desacralizzazione in atto, con riflessi paurosi sul piano della vita familiare e della moralità pubblica e privata, e con la diffusione di modelli di comportamento riprovevoli, che hanno inciso profondamente sulle forme della vita individuale ed associata. Non è il caso di analizzare compiutamente, ora, il fenomeno (aborto, droga, pornografia, delinquenza giovanile, permissivismo in tutte le sue forme di persuasione, scoperta e occulta, ecc.). […].
«In questo innegabile contrasto di posizioni radicalmente opposte – sanità di tradizioni cattoliche che devono far fronte alla secolarizzazione – […] [ciascuno] ha il dovere di assumere […] tutte le proprie responsabilità, per favorire l’affermazione dei sani valori, che costituiscono l’onore genuino del popolo italiano, e far argine ai pericoli che cercano di corroderli all’interno»; e questo è soprattutto compito della Conferenza Episcopale Italiana, dal momento che «i Vescovi sono una rappresentanza legittima e qualificata del popolo italiano, sono una forza sociale, che ha una responsabilità nella vita dell’intera Nazione».
«Ciò vuol dire che in un Paese Cattolico come l’Italia, ma immerso, talvolta, e minacciato da un’atmosfera ostile, per cui la Chiesa rischia di trovarsi in un complesso d’inferiorità e di subire anche, in certo modo, condizioni di ingiustizia e discriminazione», il compito di tutti, de «La Chiesa, nei suoi Vescovi, nei suoi sacerdoti, nei suo laicato più generoso», «è un compito di rafforzamento della fede in un momento di trapasso e di crisi».
Venendo al terzo tema del suo discorso, al «che fare», il Sommo Pontefice ha ricordato come «Nella sua storia millenaria, la Chiesa non è mai stata a corto di idee per escogitare e porre in esecuzione opere richieste dai tempi, ricorrendo al proprio immenso potenziale di energie, votate a Dio e alle anime. Essa è sempre stata come una grande “donatrice di sangue”, che ha continuamente provveduto al ricambio di energie e di iniziative, in un mondo che sempre ne ha aspettato urgentemente, e in tutti i campi, la presenza. E se oggi l’assunzione di determinati compiti da parte dello Stato è subentrata in campi che, in altra epoca, erano oggetto di premura quasi esclusiva della Chiesa, non mancano certamente neppure oggi […] gli spazi di carità e di slancio generoso per giungere là dove altre forze non arrivano».
Quindi, prima di sottolineare come «una delle prime responsabilità del momento presente è quella della catechesi», cioè dell’«insegnamento della sana dottrina»; prima di richiamare al dovere della testimonianza evangelica, della difesa della famiglia e della attenzione che va portata alle nuove generazioni, Giovanni Paolo II ha sentenziato: «Occorre, dunque, andare avanti, senza timori, nel proporre […] i punti programmatici di una visione cristiana e cattolica della vita terrena, secondo il Vangelo, e di una azione ad essa conseguente».
Come ci pare di avere mostrato, attraverso gli ampi stralci che ne abbiamo fornito, il discorso del regnante Pontefice all’assemblea generale dei vescovi italiani contiene in sé gli elementi chiari di un messaggio che si indirizza, senza forzature del testo, a tutta la nazione, non solo ai suoi vescovi e ai suoi sacerdoti, ma anche al «suo laicato più generoso». Si tratta di un messaggio che ricorda la natura della «società storica» italiana, della nazione italiana, il suo stato attuale, il dovere di restaurarla nella sua profonda cattolicità; un messaggio che è anche un appello a cui rispondere: «Sì, fratelli carissimi, lavoriamo finché abbiamo forza, finché è giorno!».
Note:
(1) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla XVII Assemblea Generale dei Vescovi italiani, del 29-5-1980, in L’Osservatore Romano, 3-5-1980. Tutte le citazioni sono tratte da questo documento.
(2) Cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, p. 160.