di Carlo Galli del 27 aprile 2023 da Rebubblica
Il dibattito sul significato che il 25 aprile assume nel tempo del governo della destra è riconducibile a una grande questione filosofico-politica: se l’unità di un corpo politico nasca dal conflitto, o se viva nel conflitto. Nel primo caso, il conflitto costituente è da considerarsi concluso, i suoi risultati acquisiti, la divisione originaria è cicatrizzata, e la vita della comunità si svolge in una dimensione di normalità. Nel secondo caso, invece, il conflitto è mantenuto attivo: il corpo politico vive se la ferita originaria è aperta, se continua a dolere; è di lì che nasce una memoria identitaria sempre presente. La normalità trae senso esistenziale da una lotta mai del tutto neutralizzata, che è il carburante del progresso, la spinta politica verso il futuro.
È evidente che Meloni ha inteso percorrere la prima strada: il fascismo sconfitto è condannato, la Costituzione accettata, la svolta di Fiuggi si è consumata, la destra è da tempo non più neo-fascista né post-fascista (al netto delle capacità politiche e intellettuali di alcuni suoi esponenti). La questione fascismo-antifascismo non è più all’ordine del giorno. Non è l’alimento del futuro.
È una posizione rivolta al passato, per trarne fondazione e rassicurazione: le cose importanti sono già avvenute. E al tempo stesso, è rivolta al futuro: è la base su cui poggia il conservatorismo, tutto ancora da costruire, di cui Meloni vuol essere l’alfiere in Italia, come lo è nel Parlamento europeo. Se il presente è già scritto nel passato, il futuro deve conservare ciò che è acquisito, ma al tempo stesso ne deve limitare la carica politica dinamica, mobilitante. Conservare con moderazione, agire senza la pretesa di realizzare nel mondo una qualche idea assoluta, fare della democrazia – pur accettata – non una sorgente di estremismo, e anzi trasformarla in una rassicurante tradizione: la politica serve a stabilizzare la società, a impedire che le idee si trasformino in ossessioni, in astrazioni.
Per quanto sia fra le tradizioni politiche più sfuggenti, e meno facilmente etichettabili, il conservatorismo ha questa essenza: da quando nacque con Edmund Burke contro la rivoluzione francese e contro la sua dimensione astratta (ma drammaticamente concreta) fino al filosofo Roger Scruton da poco scomparso (menzionato da Meloni nel suo discorso d’insediamento), il conservatorismo ha inteso contrastare l’interpretazione progressista della storia. Questa non deve essere un continuo rivoluzionamento, un incessante superamento di sé stessa, uno sviluppo polemico di utopie – come, d’altra parte, è esclusa l’opzione reazionaria, che vuole fanaticamente far rinascere ordinamenti politici del passato. Al di là del fatto che può diventare estremista se crede di avere davanti un nemico mortale – si pensi ai neo-con statunitensi –, il conservatorismo è portatore di un pragmatico senso del limite: il passato è fondamento del futuro in quanto ne controlla lo sviluppo; esistono alcuni pilastri della politica, fra i quali c’è certamente la liberaldemocrazia, ma c’è anche una serie di freni al progressismo liberal: idee come quelle di Dio, Patria, Famiglia, un certo scetticismo sulla natura umana e sulla opportunità che la politica si impegni a trasformarla, e anche il rifiuto del fatto che la politica sia la dimensione fondamentale dell’esistenza. Una prudente evoluzione della tradizione è ciò che, in generale, il conservatorismo chiede e promette – insieme a una ferma lotta contro gli estremismi, concetto nel quale rientrano i totalitarismi ma anche, come appunto avviene in Scruton, il turbo-capitalismo neoliberista e l’ultra-tecnologia.
Al di là dei problemi teorici che pone, non è facile identificare il conservatorismo nella storia d’Italia: le destre storiche risorgimentali, di tradizione cavouriana, le più vicine a questa sensibilità, hanno dovuto essere rivoluzionarie per costruire l’unità del Paese; il fascismo certamente non fu conservatore quanto piuttosto estremista; la Dc raccolse molti voti moderati – il moderatismo è un concetto meno impegnativo, più qualunquistico, del conservatorismo – ma, nonostante lo slogan anti- socialista “progresso senza avventure”, aveva con la tradizione (anche religiosa) un rapporto soprattutto utilitaristico e certamente non voleva essere un partito conservatore quanto piuttosto un partito di centro che (spesso, non sempre) guardava a sinistra; il Pci, per quanto conservatore dei valori costituzionali e resistenziali, e per quanto fino a tutti gli anni Sessanta portatore anche di un certo tradizionalismo nei costumi, era pur sempre l’alfiere della democrazia progressiva; Berlusconi ha rivoluzionato la politica italiana nel nome del liberismo. Di conservatorismo coerente non se ne è visto molto, nel nostro Paese; piuttosto, impulsi qualunquistici contrapposti a vulgate progressiste. Fra i pochi intellettuali conservatori si cita di solito Prezzolini (e solo in una fase matura e tarda della sua lunga vita).
In quanto fa propri alcuni caposaldi della modernità – fra cui anche il liberalismo – criticandone le ingenuità e le derive estremistiche, il conservatorismo è certamente un’opzione politica rispettabile. Certo, non è facilmente inseribile nello scenario politico italiano; anche se si prende per buona l’adesione della destra alla Costituzione antifascista, e se quindi non se ne teme una deriva illiberale e sovranista, non si può tacere che non è facilissimo passare da una impostazione ideologica quale è stata fino a ieri quella della destra (presente anche nelle “Tesi di Trieste”) a uno stile di pensiero conservatore: la politica di Meloni sembra dar vita, piuttosto, a un vasto contenitore di moderatismo, percorso da qualche modesta fiammata nazional-identitaria euro-scettica, atta ad attutire ampie concessioni al neoliberismo.
Si può comprendere l’attenzione che da parte di intellettuali di rango (e di diversa estrazione politica come, solo per fare qualche nome, Giuliano Ferrara, Galli della Loggia, Marcello Pera) si presta alla prospettiva della nascita di un partito conservatore in Italia: è una via per bilanciare la vulgata progressista ritenuta appannata, senza cadere nel populismo o in posizioni reazionarie. Sulla probabilità che il nascituro sia vivo e vitale si possono però avanzare, per quanto si è detto, dubbi non del tutto infondati.
Anche se si prende per buona l’adesione della destra alla Carta antifascista non è facile passare dal sovranismo a uno stile moderato
La premier vuole essere alfiere di un conservatorismo tutto da costruire
REUTERS/Remo CasillijL’omaggioLa premier Giorgia Meloni, nel giorno della festa della Liberazione, partecipa alla cerimonia all’Altare della Patria a Roma per l’omaggio al Milite IgnotoDI DI CARLO GALLI