Joris-Karl Huysmans, Cristianità n. 418 (2022)
Il testo che segue è tratto dal romanzo La cattedrale, redatto dallo scrittore e critico d’arte francese Joris-Karl Huysmans (1848-1907) nel 1898. La traduzione è quella ospitata nella seconda edizione italiana, del 1965, a cura del sacerdote paolino don Gennaro Auletta (1912-1981). Nel 2000 la casa editrice Aragno ha pubblicato con il titolo La cattedrale di Chartres soltanto un estratto del romanzo, corrispondente a circa il 50 per cento del testo integrale, ottenuto conservando solo le riflessioni estetiche, teologiche e spirituali del protagonista Durtal. Il testo riportato si trova alle pagine 164-169 dell’edizione citata. Le inserzioni fra parentesi quadre sono redazionali.
«Qui a Chartres [rifletteva Durtal], ci sono i capolavori dell’architettura mistica e della scultura mistica; l’arte più sovrumana, più sublime è fiorita in questa piatta regione della Beauce».
E adesso, dopo aver contemplato l’insieme di quella facciata, si avvicinava di più per scrutarla nei più minuti accessori, nei minimi particolari, per esaminare da vicino l’abbigliamento delle statue; e notava questo: nessun panneggiamento era uguale; alcuni cadevano senza brusche interruzioni, increspati come un dolce ondar di acque; altri cadevano a linee parallele, a pieghe strette, un po’ in rilievo, come le scanalature d’un bastone di angelica; e la dura materia si piegava alle esigenze degli abbigliatori, si ammorbidiva nel crespo istoriato, nei fustagni e nel puro lino, s’appesantiva nei broccati e nei ricami d’oro; tutto era minutamente specificato: le collane erano cesellate grano per grano, i nodi delle cinture erano così reali che si potevano sciogliere, i braccialetti, le corone erano traforate, martellate, adorne di gemme montate nei loro castoni come da gente del mestiere, da orafi.
E spesso lo zoccolo, la statua, il baldacchino erano fatti d’un pezzo, ricavati da un solo blocco! Che gente quella che aveva scolpito quei capolavori!… E che anima avevano quegli artisti! Sappiamo infatti che lavoravano soltanto quando si trovavano in stato di grazia. Per innalzare questa splendida cattedrale ci volle la purezza anche della manodopera.
E tutto questo sarebbe incredibile se non ce l’attestassero documenti autentici, racconti certi. Possediamo infatti delle lettere dell’epoca, inserite negli Annali benedettini, una lettera di un abate di Saint Pierre-sur-Dive scoperta da Leopoldo Delisle [1826-1910] nel manoscritto 929 del fondo francese della Biblioteca nazionale, un libro latino sui miracoli della Madonna, scoperto nella Biblioteca Vaticana. Tutti raccontano come fu costruito il santuario dedicato alla Vergine Nera, dopo la distruzione degli incendi.
Quel che accadde allora tocca il sublime. Ci fu una crociata, come non se ne videro mai. Non si trattava di liberare il Santo Sepolcro dalle mani degli infedeli, di lottare su un campo di battaglia contro soldati, contro uomini, si trattava invece di cacciare Nostro Signore dalle sue trincee, di dar l’assalto al cielo, di vincerlo, con l’amore e la penitenza. E il cielo si dichiarò vinto; gli angeli sorridendo, s’arresero; Dio capitolò e, nella gioia della sua disfatta, aprì il grande tesoro delle sue grazie affinché tutti ne attingessero.
E fu pure, sotto la guida dello Spirito Santo, la lotta contro la materia, impegnata, nei cantieri, da tutto un popolo che voleva salvare a ogni costo la Vergine senza asilo, come nel giorno in cui le nacque il Figlio.
La stalla di Bethleem non era che un mucchio di cenere. Maria stava per tornare al vagabondaggio, sotto la sferza della tramontana, nelle gelide pianure della Beauce. A milleduecento anni di distanza, si sarebbe rinnovato il fatto delle famiglie spietate, degli alberghi inospitali, delle camere occupate?
A quel tempo, la Madonna era amata in Francia come si ama la madre naturale, la madre vera. Alla notizia del suo vagabondare, cacciata via dall’incendio, in cerca di un asilo, tutti piansero commossi; e non solo a Chartres, ma nell’Orleanese, nella Normandia, nella Bretagna, nell’Ile-de-France, nel Nord, le popolazioni interrompono il loro lavoro, lasciano le loro case per accorrere in suo aiuto; i ricchi portano oro e gioielli, tirano le carrette insieme con i poveri, trasportano grano, olio, vino, legname, calce, tutto quello che può servire di nutrimento agli operai e per la costruzione d’una chiesa.
Fu una migrazione ininterrotta, un esodo spontaneo di popolo. Tutte le strade erano ingombre di pellegrini, uomini e donne alla rinfusa, che trascinavano alberi interi, trasportavano fasci di travi, spingevano carriole con i malati e gli infermi che rappresentavano la sacra falange, i veterani della sofferenza, gli invincibili legionari del dolore, coloro che dovevano aiutare nell’assedio della Gerusalemme celeste, formando la retroguardia, sostenendo gli assalitori con i rinforzi delle loro preghiere.
Nulla, né i fossati, né gli acquitrini, né le foreste impervie, né i fiumi senza guado poterono frenare l’impeto di quelle folle in cammino; e un mattino da tutti i punti dell’orizzonte si trovarono in vista di Chartres.
Allora cominciò l’assalto; mentre i malati scavavano le prime trincee delle preghiere, le persone valide piantavano le tende; il campo si stese in giro per varie leghe; sui carri s’accesero le candele, e ogni sera ci fu un accampamento di stelle nella Beauce.
Pare inverosimile, ma è documentato da tutte le testimonianze dell’epoca: quelle valanghe di vecchi e bambini, di uomini e donne, in un batter d’occhio riuscirono a disciplinarsi tra loro; essi appartenevano a tutte le classi sociali, e tra loro c’erano dame e cavalieri, ma l’amore divino fu così forte che soppresse le distanze e abolì le caste; i signori con i plebei si misero alla stanga come devote bestie da soma; le patrizie aiutarono le contadine a preparare la calcina e cucinarono con loro; tutti vissero mettendo da parte i pregiudizi, tutti accettarono di essere soltanto manovali, macchine, remi e braccia da usarsi senza mormorare, agli ordini degli architetti usciti dai loro conventi per dirigere l’opera.
Non si vide mai una più saggia e più semplice organizzazione; i cellerari dei chiostri diventati economi di quella armata, provvidero alla distribuzione dei viveri, assicurarono l’insieme dei bivacchi, la salute dell’accampamento. Uomini e donne erano docili strumenti nelle mani dei capi, che essi stessi s’erano eletti e che obbedivano a gruppi di monaci, subordinati a loro volta all’essere prodigioso, al genio ignoto, che dopo d’aver concepito il piano della cattedrale, ne dirigeva anche i lavori.
Per ottenere siffatto risultato, l’anima di tutta quella gente doveva essere veramente mirabile. Infatti il lavoro ritenuto da ognuno, nobile o plebeo, come un atto di umiltà e di penitenza, e anche come un onore. Nessuno fu tanto temerario da toccare i materiali della Vergine senza essersi riconciliato con i propri nemici ed essersi confessato. Coloro che esitavano a riparare i loro torti e ad accostarsi ai sacramenti, furono messi al bando; furono cacciati come esseri immondi dai loro compagni, dalla loro famiglia.
Il lavoro, stabilito dai contramastri, cominciava ogni giorno all’alba. Alcuni scavavano le fondazioni, sterravano macerie e le portavano via; altri andavano alle cave di Berchère-Evêque, a otto chilometri da Chartres, per tagliare enormi blocchi di pietra, così pesanti che talvolta un migliaio di operai non bastava ad alzarli e portarli fin sulla collina dove doveva sorgere la cattedrale.
E quando stanchi, spossati, quegli uomini silenziosi si fermavano, allora si alzavano le preghiere e il canto dei salmi; alcuni piangevano i loro peccati, imploravano la compassione della Madonna, si battevano il petto, singhiozzavano tra le braccia dei sacerdoti che li consolavano.
Alla domenica si facevano le processioni, con le bandiere in testa, e l’urrà dei cantici scoppiava per le vie fiammeggianti tracciate in lontananza dai ceri; tutto il popolo assisteva in ginocchio alle ore canoniche, e le reliquie venivano presentate ai malati con grande solennità…
Durante questo tempo, gli arieti della preghiera, le catapulte delle orazioni scotevano i bastioni della città celeste; le forze vive dell’armata si riunivano per puntare sullo stesso bersaglio, per prendere d’assalto la piazzaforte.
E allora, vinto da tanta umiltà e da tanta obbedienza, schiacciato da tanto amore, Gesù si arrendeva, rimetteva i suoi poteri a sua Madre, e da ogni parte si vedevano miracoli. Ben presto il gruppo dei malati e degli infermi si metteva in piedi; i ciechi vedevano, gli idropici si sgonfiavano, i paralitici camminavano e i cardiaci correvano.
Il racconto di questi miracoli che si ripetevano ogni giorno, che talvolta precedevano l’arrivo dei pellegrini a Chartres, c’è stato tramandato in un manoscritto latino della Biblioteca Vaticana.
Qui sono i pellegrini di Chateau-Landon, che trasportano un carro di frumento. Giunti a Chantereine s’accorgono che le loro provviste sono esaurite e chiedono pane a degli sventurati che si trovano pur essi nell’estrema indigenza. La Vergine intercede, e il pane della miseria si moltiplica. Là sono dei pellegrini venuti dal Gatinais, con un carriaggio di pietre. Sfiniti, si fermano vicino a Puiset; gli abitanti del paese, andatigli incontro, li invitano a riposarsi, mentre essi tireranno il carriaggio; rifiutano. Allora gli abitanti di Puiset offrono loro una botte di vino e la travasano in un’altra issata sul carriaggio. Questa volta i pellegrini accettano e sentendosi meno stanchi continuano il cammino. Ma sono richiamati per costatare che la botte vuotata s’è ricolmata da sé d’un vino delizioso. Tutti ne bevono e i malati guariscono.
Ancora: un abitante di Corbeville-sur-Eure, addetto al carico di un traino di legname per costruzione, ha tre dita mozzate da un’ascia e grida orribilmente. I compagni gli consigliano di troncare completamente le dita che sono restate appese con un esile filo, ma il sacerdote che li guida a Chartres si oppone. Viene invocata Maria, e la ferita scompare, la mano ridiventa intatta.
Ancora: ecco dei bretoni che, smarriti di notte nelle pianure della Beauce, vengono guidati da un grande splendore: è la Vergine in persona che un sabato sera, dopo compieta, discende nella sua chiesa già chiusa, e l’illumina d’una luce accecante…
— Quante pagine come queste!… Ah sì, ora si capisce perché questa cattedrale è così piena di Lei — ruminava Durtal. La sua riconoscenza per l’amore dei nostri padri vi si sente ancora… e Lei non vuole mostrarsi troppo disgustata, non vuole guardare troppo per il sottile…