Di Andrea Morigi da Libero del 13/06/2023
Ha dato una testimonianza vivente, fino al momento del trapasso, dell’insensatezza dell’eutanasia. Silvio Berlusconi alla morte si era preparato, eccome, predisponendo tanto le cose di quaggiù quanto quelle della vita eterna. Lo avevano aiutato la zia suora, le corone di rosario recitate da mamma Rosa e dalla sorella Maria Antonietta, i consigli di don Antonio Zuliani che lo aveva definito «un uomo di grande fede e profondità religiosa», e don Gianni Baget Bozzo che per Silvio fu «un mistico che portava il peso della sua grandezza in un periodo storico spesso dominato dalla mediocrità». Tutti scomparsi prima di lui. A un certo punto doveva affrontare anche lui il giorno del giudizio individuale. La statua di padre Pio da Pietrelcina, eretta a Villa San Martino una ventina d’anni fa, è la prova – forse ancora più della “Volta celeste”, il mausoleo realizzato dallo scultore Pietro Cascella negli anni 1990 – che negli ultimi tempi il Cavaliere non trascorreva un minuto senza pensare all’aldilà che ora sta contemplando.Era stato minacciato da terroristi e mafiosi. Ma che potessero ucciderlo, lo aveva creduto possibile soltanto quando era stato ferito da uno psicopatico che lo aveva centrato con una miniatura del Duomo di Milano, il 13 dicembre 2009. Da allora le meditazioni di Silvio sul valore della vita si erano fatte ancora più serie. Tra i peccati da farsi perdonare non contemplava l’ignavia. Anzi, in attesa di un testamento spirituale del defunto, si possono considerare le sue parole, ispirate all’Elogio della follia: «Io ho sempre pensato con Erasmo da Rotterdam che le cose più grandi nella vita e nella Storia, siano sempre frutto, non della ragione, ma di una sana, lungimirante, visionaria follia della ragione». Quel cattolicesimo vissuto nella sua giovinezza alla scuola dei salesiani si era poi tradotto nella difesa dei princìpi non negoziabili, il diritto alla vita, la difesa della famiglia e la libertà di educazione. Con la Conferenza episcopale italiana guidata dal cardinale Camillo Ruini aveva trovato sintonia sui temi di bioetica. Aveva lottato durante tutto il calvario di Eluana Englaro perché non le fossero interrotte l’alimentazione e l’idratazione.