Di Marco Patricelli da News List del 21/06/2023
L’incidente, lo schianto, l’idea che la vita sia un videogame che si può ricominciare senza conseguenze, un bimbo ucciso a Casal Palocco. Note sulla gioventù disconnessa dalla realtà. L’esperienza dell’amicizia che è diventata la sfida di un ‘mi piace’ in un mondo dove non c’è più una bussola educativa. La vera sfida borderline, invece delle 50 ore senza smettere di spingere sull’acceleratore di una Lamborghini a nolo, sfidando tutte le regole, sarebbe stata quella di spingere per 50 ore la carrozzina di un invalido: la straordinarietà di un gesto per rendere normale una vita, invece dell’ordinarietà di una vita senza regole che alla fine ne strappa un’altra, quella di un bambino innocente. La tragedia omicida di Casal Palocco ha sollevato la marea dello sdegno, ma non sembra aver insegnato nulla, in questa sorta di intorpidimento cerebrale che non distingue più il vero dal finto, la realtà dall’immaginazione, le cause dagli effetti e gli effetti dai gesti, in un estraniamento da tutto quello che può essere una scala di valori che orientano nella crescita e nella maturazione. La bussola educativa non ha più l’ago di riferimento, sia esso la famiglia, la scuola, la chiesa, l’ambiente delle amicizie. È il vero fallimento sociale del XXI secolo che ha globalizzato l’effimero.La riprova è nell’esplosione estremistica di un modello slabbrato che lascia pascolare nell’anarchia digitale, illudendo che il mondo sia dentro uno smartphone o un tablet, e non fuori; che gli amici sono gli sconosciuti che ti chiedono amicizia su un social e non quelli che conosci e che frequenti; che stare insieme agli altri significa spezzettare la giornata con i bip delle chat, primo gesto del mattino e ultimo della notte fonda. La riprova è che i 599 mila followers del gruppo The Borderline hanno sfondato abbondantemente il muro dei seicentomila poco dopo che la Lamborghini sfuggita al controllo aveva sfondato la fiancata di una Smart uccidendo un bambino e ferendo la sorellina e la madre. La riprova è nel gesto di scendere dalla fuoriserie e continuare a riprendere per pubblicare sul web, e attrarre il voyerismo malato con lamiere, sangue e lacrime, come se nulla fosse accaduto e quel reality on the road dovesse proseguire fino alla prossima lucrosa pausa pubblicitaria, perché, si sa, The show must go on e il danaro è il motore del mondo, e corre come un bolide. La banalità dell’inconsapevolezza del male. Uno schianto, come tanti, ma diverso da tutti gli altri, quello di via di Macchia Saponara in un giorno qualunque che non è più un giorno qualunque. Dopo, l’equipaggio dell’impresa estrema stando ai testimoni sorrideva, di fronte a quello che veniva percepito come un imprevisto che però poteva innalzare asticella dei “mi piace” per l’inatteso game over. Dopo, era tutta una superfetazione di giusta indignazione sociologica, di lacrime ritualizzate, di grancassa delle tv che per marciare fuori giri con i talk show marcisce nella banalizzazione e nell’impotenza di forgiare un’opinione pubblica oltre lo sdegno emozionale. Il mondo cambia, non si ferma esattamente come aveva fatto quel suv di lusso da 650 cavalli messi a disposizione di un ventenne e degli amici con la comodo formula del noleggio pagato dai perversi meccanismi del web che consentono di vivere, e bene, sul nulla. Le veline che accalappiavano un calciatore, sintesi tra una non professione e la non assiduità dei banchi di scuola e dei libri, sono immagini preistoriche rispetto alle influencer che hanno portato alle estreme conseguenze il concetto stesso di non professione, di non lavoro, di non formazione culturale, estremizzando il fiuto per gli affari e l’indubbia capacità di fiutare il vento che soffia verso il conto corrente, mettendosi davanti a una tastiera e raccontando l’inutilità e il superfluo. Raccogliendo legioni e legioni di ammiratori che pagano lo stesso chewing gum il doppio del normale prezzo giusto perché sull’incarto c’è un logo riconoscibile, e una bottiglia d’acqua come se fosse quella miracolosa di Lourdes che può cambiarti la vita.Occorre rassegnarsi, o forse no, per un mondo precipitosamente sparito alla fine del secolo scorso, che da breve è diventato brevissimo, con la scomparsa totale della socialità di cortile, degli incontri e delle conoscenze reciproche, delle amicizie che potevano durare solo fino al primo litigio, ma più spesso valevano una vita, dove potevi sbucciarti il ginocchio e persino fare a botte con qualcuno senza che i genitori si rivolgessero ai carabinieri, che venivi ripreso dai maestri e dai professori senza che qualcuno chiamasse il Telefono azzurro o prendesse a pugni il docente. A calcio si giocava in strada, con due mattoni o due indumenti a delimitare le porte, e se volevi un campetto dovevi lavorare di pala e di piccone per renderlo accettabilmente piano, ma lo facevi insieme a tutti gli altri e già questo aveva un valore di condivisione e di risultato. Oggi no: si gioca in campetti d’erba sintetica, recintati, naturalmente a pagamento, e guai a presentarsi senza la strapagata maglietta di plastica ma di marca e le scarpette griffate dal campione, sognando di emularne le gesta come ricostruito in 4K sulla playstation. Subbuteo? Chi era costui? È il mondo che cambia, non sempre in meglio, che lascia dietro di sé la nostalgia generazionale, solo che è il ricambio a essere diverso. E infatti in Italia c’è un crollo delle nascite inaudito, le cui cause e concause sono un oggetto misterioso anche per gli esperti. Una volta i genitori dicevano ai figli di studiare e di farsi una posizione perché impegno e sacrifici sarebbero stati ripagati. Oggi non è più vero, se mai lo è davvero stato, crisi nella crisi della società occidentale che ha ripudiato o sabotato gli ingranaggi di un sistema che perde colpi, si è inceppato e potrebbe persino fermarsi: il frutto malato dell’incultura della cultura di massa, perché si è voluto credere alla famigliola felice del Mulino bianco dove tutto è poesia sublime, ai gatti serviti e riveriti con manicaretti stellati su vassoi d’argento, al successo facile, alla furbizia preminente sull’intelligenza. Si raccolgono da terra, e neanche sempre, le deiezioni dei cani con le mani appena protette da una busta di plastica, ma se si tratta di accudire un infermo quella stessa funzione viene demandata ad altri, pagati per questo. I ragazzi di Casal Palocco ridevano prima e dopo quel gioco in tre dimensioni in cui hanno perso tutti, e qualcuno di più perché ha pagato con la vita. Sul muro vicino al luogo dello schianto è apparsa una scritta “Riposa in pace! Ciao pikkolo” di cui nessuno ha notato la preoccupante sintonia con i tempi e con le storture: lo spray usato con la stessa noncuranza vandalica dei writers, e quel “pikkolo” scritto utilizzando lo stesso linguaggio dei ragazzi della Lamborghini e di un’intera generazione che comunica in gergo sgrammaticato.Tempo fa, a una cena surreale, quasi tutti i commensali nati agli sgoccioli degli anni del boom non facevano altro che scattarsi selfie che pubblicavano in tempo reale su Facebook e si scambiavano vicendevolmente, e si guardavano sullo schermo in quello che facevano invece di guardarsi tra di loro e parlare. Non vivevano il presente e la realtà, ma la trasfiguravano nell’immaginario di una micro collettività come se fosse un evento epocale suggellato dal “mi piace” nel proprio profilo, gratificandosi per l’effimero scambio. Potere della tecnologia che ha trasformato non solo il nome del telefono: l’ultima cosa per cui l’utilizziamo, infatti, è telefonare.