In occasione della Giornata missionaria mondiale, analizziamo un capolavoro di Luca Giordano su san Francesco Saverio
di Michele Brambilla
Nell’epoca della Riforma cattolica le missioni vissero una delle loro fasi più prospere, “complici” la scoperta dell’America e l’inizio dell’espansione coloniale dei regni iberici anche in Asia. I principali ordini religiosi, in particolare gesuiti e cappuccini, pensavano però anche alle “Indie di quaggiù”: nelle terre di antica Cristianità fiorirono le cosiddette “missioni al popolo”, antesignane della nuova evangelizzazione perché si proponevano di ravvivare la fede di chi aveva già ricevuto il battesimo.
Ecco allora elevarsi, al centro di città e paesi europei, tribune e pulpiti improvvisati, dai quali il predicatore esortava alla conversione trattando i Novissimi. Il missionario era sempre “armato” di Crocifisso, ma non mancava anche il teschio, per ricordare ai libertini la necessità del Giudizio particolare.
Ricorre in questi giorni la Giornata missionaria mondiale. Ne sottolineiamo il significato analizzando una preziosa opera del pittore napoletano Luca Giordano (1634-1705), San Francesco Saverio battezza gli indigeni alla presenza di sant’Ignazio di Loyola (1680-81). La pala oggi si trova al Museo di Capodimonte a Napoli e riassume tutti i caratteri della predicazione del santo gesuita, ma anche quelli che erano i canoni della missione nel Seicento.
Sebbene, infatti, non si dimentichi la promozione umana (si vedono, tra i catecumeni, alcuni schiavi neri liberati), la priorità è illuminare i pagani con la luce della fede cattolica. Il battistero è esattamente al centro della composizione, ambientata a Goa, in India, e tutti vi convergono. San Francesco indossa gli abiti liturgici prescritti (cotta e stola) ed è ritratto mentre predica con il Crocifisso in mano, come si faceva all’epoca. Gli effetti della parola predicata sono immediatamente visibili nella reazione della folla, che si accalca per ricevere il Battesimo. La benedizione celeste è altrettanto evidente negli angeli festanti, che sorreggono un ostensorio eucaristico e il turibolo.
Vangelo e riscatto dell’umanità sofferente sono strettamente intrecciati. Sulla sinistra i convertiti corrono a demolire gli idoli. Come non pensare al sistema oppressivo delle caste, che caratterizza tutt’ora l’induismo? L’idolo diventa così il simbolo di un meccanismo che riduce alcune persone (i paria) ad oggetti, mentre per il cristianesimo siamo tutti figli dello stesso Padre. Giordano è molto attento a dipingere umili e potenti, differenziandone gli abiti (nella foggia non manca un certo gusto per l’esotico). I miglioramenti sociali, però, vengono come conseguenza della conversione e non viceversa, mentre oggi si è fin troppo timidi nel proporre i contenuti specificamente religiosi dell’azione missionaria.
Luca Giordano dipinge nella pala anche la figura di sant’Ignazio (ai suoi piedi si notano i simboli del cavalierato terreno e del cardinalato, a cui rinunciò), che assiste al battesimo degli indigeni. Questo poté avvenire solamente nella mistica, dato che sant’Ignazio di Loyola seguì le imprese di san Francesco Saverio solo attraverso le lettere che egli gli faceva recapitare. Da Roma, però, approvava quanto compiva il fedele discepolo e, sicuramente, gioiva in cuor suo per le anime che si aggiungevano entusiaste a Santa Madre Chiesa.
Sabato, 21 ottobre 2023