Da Avvenire del 18/08/2023
«Il significato ultimo di una università e di ciò che è nella sua profonda essenza deve misurarsi a partire dal criterio d’incidenza nella realtà storica in cui si trova», scriveva Ignacio Ellacuría nel 1975. L’« hacerse cargo », il farsi carico della realtà circostante, è stato uno dei cardini della fede profonda e incarnata del rettore dell’Università centroamericana José Simeón Cañas di San Salvador (Uca), retta dai gesuiti. È stato questo a portarlo a denunciare senza paura l’ingiustizia strutturale del Paese e a spendersi senza remore per aprire spiragli di pace nel mezzo del conflitto civile (1980-1992).Una scelta che gli è costata la condanna a morte da parte della dittatura d’ultradestra salvadoregna con l’accusa – a lui e ai confratelli con cui condivideva il lavoro accademico e pastorale – di «avere trasformato l’Uca in un covo di guerriglieri ». Paradossale che 34 anni dopo il suo martirio, parole simili siano state impiegate per giustificare l’esproprio di fatto di un’altra Uca, quella di Managua, in Nicaragua. In un contesto storico diverso, un regime che si definisce di segno politico opposto ma, come l’altro, si professa cristiano, ha congelato i beni mobili e immobili dell’ateneo, sul quale ha ordinato un’inchiesta in quanto «centro di terroristi in cui vengono organizzati gruppi di facinorosi e sovversivi ». Affermazioni infondate, per le quali non viene fornita alcuna prova. La Provincia centroamericana della Compagnia di Gesù le ha respinte con forza e indignazione: «Il prestigioso lavoro di insegnamento e ricerca dell’Università portato avanti per 63 anni è stato riconosciuto a livello nazionale e internazionale e si ha realizzato in conformità con la nostra tradizione educativa e gli orientamenti della Chiesa». «La persecuzione contro i gesuiti si deve alla loro libertà – afferma padre José María Tojeira, ex rettore dell’Uca di San Salvador, amico dei confratelli assassinati, in prima linea nella ricerca della verità della strage – e all’impegno per difendere la vita e i diritti dei nicaraguensi». Un’opinione condivisa da analisti, attivisti delle più svariate estrazioni, autorità internazionali incluso il dipartimento di Stato, che hanno espresso solidarietà all’ateneo “incriminato”.Quest’ultimo è finito nel mirino del presidente Daniel Ortega e della moglie, nonché vice, Rosario Murillo per avere dato rifugio ai manifestanti in fuga dalla violenza dei paramilitari del regime – le cosiddette “turbas” – nel corso delle proteste dell’aprile 2018. Un movimento di rivolta nonviolento stroncato nel sangue dal governo che ha progressivamente chiuso ogni spazio di libertà. Da due anni la persecuzione si è concentrata sulla Chiesa, ultimo spazio di autonomia. Fino a toccare ora uno dei simboli più forti della sua libertà: l’Uca, appunto. Da San Salvador a Managua la storia sembra ripetersi. Ancora una volta, la colpa è « hacerse cargo », come avrebbe detto Ellacuría. Oltretutto, per un bizzarro paradosso, l’avvio della causa di beatificazione dei martiri dell’Uca di El Salvador coincide con il consumarsi del “martirio”, in questo caso fortunatamente incruento, dell’Uca “gemella” di Managua. Lunedì si aprirà l’anno accademico e il futuro degli oltre 5mila studenti e 546 docenti resta in sospeso. Al momento, le attività accademiche e amministrative sono in stand by. I lavoratori, prima di lasciare la struttura, hanno portato via almeno il crocifisso custodito nella cappella dell’ateneo. L’Uca è la 27ª università privata confiscata dal regime con svariate giustificazioni, dal riciclaggio al terrorismo. Nei suoi confronti, però, c’è stato un accanimento particolare. Poiché il prestigio della struttura, in qualche modo, rendeva rischioso un attacco diretto, Ortega ha cercato di strangolarla dal punto di vista economico, togliendole i fondi. Al ex rettore, José Idíaquez e al vice, Jorge Huete, è stato impedito di tornare nel Paese da cui erano usciti per un viaggio, nel 2022. A guidarla, da allora, è stato padre Rolando Enrique Alvarado López. Nonostante le difficoltà, l’Uca non ha ceduto e, alla fine, il regime ha sferrato il colpo più duro: la confisca. Potrebbe, purtroppo, non essere l’ultimo. Non è escluso che vengano “commissariati” anche i licei e le altre strutture educative dei gesuiti. Anche su di loro ricade la medesima colpa: « Hacerse cargo »