di Vladimir Rozanskij, da AsiaNews del 19 settembre 2023
Proprio mentre sembra aprirsi uno spiraglio nella tratta del corridoio umanitario verso il Nagorno Karabakh, si rinnovano episodi di scontri armati e reciproche accuse, secondo lo schema classico del conflitto di confine tra armeni e azerbaigiani. Dopo tre mesi di blocco totale, sono state fatte finalmente passare 23 tonnellate di farina e prodotti vari, organizzate dalla Croce Rossa internazionale con Russia e Svizzera. Allo stesso da tempo, da Baku giungono accuse di un sabotaggio bellico armeno, rifiutate da Stepanakert come “la solita disinformazione”.
Il Servizio nazionale di sicurezza dell’Azerbaigian ha dichiarato che alcuni reparti armati si sarebbero introdotti al km 58 dell’autostrada Akhmedbejli-Fuzili-Shusha, sistemando una mina anticarro la cui esplosione alle 03.45 avrebbe causato la morte di due civili. Ci sarebbero anche altre quattro vittime tra i poliziotti azeri, sempre per colpa di una mina su un’altra strada, quella che porta nella provincia di Gadrutsk attraverso la galleria di Tagavard, esplosa mentre la polizia cercava di “raggiungere i terroristi”.
La situazione rischia nuovamente di sfuggire di mano, e arrivano notizie di movimenti di truppe e scambi d’artiglieria sempre più intensi, soprattutto intorno a Shusha. Anche dalla Russia arrivano appelli per fermarsi, e garantire la sicurezza delle forze russe di interposizione, mentre il ministero della difesa di Baku assicura che sono stati creati corridoi umanitari e punti di accoglienza per evacuare la popolazione dalla zona pericolosa, mentre vengono attaccati “solo obiettivi militari legittimi”. Secondo gli azeri l’unica via verso la pace nella regione è “il completo ritiro dell’esercito armeno dal Karabakh e lo scioglimento dello pseudo-regime di Stepanakert”.
La tensione aumenta anche a Erevan, dove le forze di polizia si sono schierate a protezione del palazzo del governo, in previsione di ulteriori proteste della popolazione contro la condotta ritenuta troppo “remissiva” dell’esecutivo guidato da Nikol Pašinyan, che ha cercato di consultarsi con Macron e Biden sulle possibilità di stemperare il conflitto. Tutto questo avviene dopo tre mesi di stallo, in cui le vie erano bloccate e non si riusciva a trovare alcuna soluzione, spingendo l’Armenia a rivolgersi sempre più altrove rispetto a Mosca e Baku.
I carichi arrivati in questi giorni erano stati invece “sincronizzati” dalle due direzioni dei corridoi di Lačin e Agdam, da una parte la farina e i generi alimentari, dall’altra medicinali e prodotti d’igiene di derivazione russa e svizzera. La Croce Rossa ha sottolineato che il blocco era stato superato “grazie a sforzi diplomatici molto insistenti”, ma l’Azerbaigian ha negato che si tratti di un “cedimento della sovranità di frontiera”. Si tratterebbe solo della “dimostrazione della buona volontà” del governo di Baku, secondo le dichiarazioni del ministero degli esteri, mentre si ammassano nuove truppe azere nella zona.
Il direttore armeno del Centro di studi caucasici, Ovik Avanesov, è uno degli esponenti armeni che si è espresso più chiaramente contro l’apertura della tratta di Agdam, mentre alla popolazione armena del Nagorno Karabakh serve solo l’accesso libero al corridoi di Lačin. Per questo motivo i carichi umanitari sono stati trattenuti per alcuni giorni, e gli episodi di sabotaggio sono conseguenza di questa interpretazione contrastante delle “aperture”.
Avanesov ritiene che l’unico scopo degli azeri rimane la cacciata di tutti gli armeni dalla zona: “il blocco continuerà e i problemi umanitari non verranno risolti, perché l’Azerbaigian continuerà a impedire il libero accesso da tutte le parti anche dopo le aperture singole, è il loro modo di fare”. Se Baku otterrà il riconoscimento dell’accessibilità dalla parte di Agdam, la linea di comunicazione diretta con l’Armenia tramite Lačin rimarrà impedita per sempre, secondo quanto lamentano gli osservatori armeni, non solo per i carichi umanitari, ma anche per il commercio e le persone.