di Marco Invernizzi
Vorrei riprendere le parole del Santo Padre sul tema del perdono, pronunciate in aereo di ritorno da Panama, il 27 gennaio, sollecitato anche dall’editoriale su Avvenire di don Roberto Colombo, il 2 febbraio.
Il tema del perdono è in questo caso legato al delitto dell’aborto, specificamente alla misericordia che bisogna avere nei confronti delle donne che hanno abortito dopo che si sono pentite, hanno chiesto l’assoluzione sacramentale, ma devono elaborare dentro di loro questa sofferenza e arrivare a perdonarsi, perché Dio perdona sempre ma noi facciamo molta più fatica a perdonare gli altri e anche a perdonare noi stessi.
Il rapporto fra aborto e perdono, data anche l’estensione quantitativa del fenomeno, ha una dimensione sociale. Nella nostra società, segnata in particolare dopo il 1968 dal fatto che il peccato di aborto è diventato un fenomeno di massa, legalizzato e purtroppo “normalizzato” nel sentire comune, il tema del perdono merita di essere analizzato in profondità.
La prima condizione del perdono è la verità. Non si perdonano le sciocchezze, ma soltanto le cose importanti e gravi. Nel Vangelo di Luca (7,37-48), Gesù ricorda il legame fra i molti peccati, il grande amore della pubblica peccatrice e il perdono che riceve. Si tratta quindi di ribadire costantemente la verità sulla sacralità della vita innocente che viene eliminata con l’aborto volontario. Un male diffuso non diventa meno grave, anche se come tale viene percepito.
Tuttavia, contemporaneamente, mentre ricordiamo la gravità dell’aborto, è necessario “andare incontro” a chi ha compiuto questo delitto, mostrando la volontà della Chiesa di perdonare e accompagnare chi dovrà riprendersi psicologicamente quando avrà percepito la gravità del gesto compiuto. Questo è un passaggio fondamentale in un mondo in cui, nel 1981, il 68% dei votanti nel referendum che doveva abrogare la legge 194 che legalizzava l’aborto ha votato a favore del mantenimento della legge.
Questo secondo aspetto deve essere percepito, sia da coloro che hanno abortito ai quali principalmente si rivolge, sia a tutti gli altri perché nelle loro relazioni anzitutto tengano conto dell’importanza delle due fasi, in vista del recupero di chi ha sbagliato.
Questo modo di fare ha una grande importanza nella nostra società proprio in vista di una nuova evangelizzazione e anche della lotta contro quelle forze ideologiche che insistono sul rancore e sulla mancanza di apertura all’azione della misericordia divina, che sola può cambiare il cuore delle persone.
La misericordia opera nella storia ma ha bisogno di chi le prepari il terreno, altrimenti può operare solo eccezionalmente, in condizioni assolutamente particolari. Se questo avviene essa può avere un impatto enorme. Il male infatti può essere sconfitto veramente soltanto dal suo contrario, il bene, la verità, l’amore. Così il perdono può avere conseguenze importantissime sulle persone che si convertono, sui loro ambienti e sulla società in generale. Se le due generazioni che ci separano dal 1968, che per 50 anni sono vissute in una società sempre più dominata dal relativismo e dall’indifferenza verso il peccato, riuscissero a trovare attraverso il perdono la via della conversione, allora veramente l’opera di disgregazione della società, quella che chiamiamo Rivoluzione con la maiuscola, potrebbe subire una dura e duratura sconfitta.
Per questo la Chiesa insiste molto sul punto, dalla Evangelium vitae di san Giovanni Paolo II all’intervento di Papa Francesco che abbiamo ricordato, invitando coloro che hanno sbagliato a ricercare il perdono in confessionale, e tutti noi ad assumere gli atteggiamenti giusti per favorire queste conversioni, tenendo insieme la verità con l’amore per le persone.
Il perdono è la via necessaria affinché la società possa ritornare al rispetto della vita, nella pratica quotidiana e nello stesso contesto legislativo, così importante anche alla luce delle recenti parole del Papa al direttivo del Movimento per la Vita: Nella vostra azione culturale avete testimoniato con franchezza che quanti sono concepiti sono figli di tutta la società, e la loro uccisione in numero enorme, con l’avallo degli Stati, costituisce un grave problema che mina alle basi la costruzione della giustizia, compromettendo la corretta soluzione di ogni altra questione umana e sociale.
In vista della Giornata per la Vita di domani, colgo questa occasione per rivolgere un appello a tutti i politici, perché, a prescindere dalle convinzioni di fede di ognuno, pongano come prima pietra del bene comune la difesa della vita di coloro che stanno per nascere e fare il loro ingresso nella società, alla quale vengono a portare novità, futuro, speranza. Non si lascino condizionare da logiche che mirano al successo personale o a interessi solo immediati o di parte, ma guardino sempre lontano, e con il cuore guardino a tutti» (2 febbraio 2019).
Domenica, 3 febbraio 2019