di Michele Brambilla
Pochissimi giorni dopo il rientro a Roma dalla GMG di Panama Papa Francesco è già in viaggio verso gli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia domenica 3 febbraio, IV domenica del Tempo ordinario, fa in tempo a recitare l’Angelus dalla consueta finestra dello studio del Palazzo Apostolico, sotto la quale convergono sia i “pro-life” italiani, in occasione della Giornata nazionale per la vita, sia i ragazzi dell’Azione Cattolica romana, che concludono in piazza S. Pietro la loro tradizionale Marcia per la pace. Due bambini dell’ACR hanno, come vuole sempre la tradizione, l’onore di affiancare il Santo Padre durante il discorso dell’Angelus, ma nel 2019 al posto delle solite colombe lanciano alcuni palloncini bianco-oro. I fedeli giungono quindi in S. Pietro con intenti diversi, ma complementari. A tutti il Papa ricorda che «Anche oggi, il mondo ha bisogno di vedere nei discepoli del Signore dei profeti, cioè delle persone coraggiose e perseveranti nel rispondere alla vocazione cristiana». In una situazione di inverno demografico è un gesto profetico anche «[…] favorire le nascite» coinvolgendo «[…] le istituzioni e le varie realtà culturali e sociali» nel rieducare i cittadini al rispetto della vita in ogni sua fase, come dice il Pontefice citando proprio la Giornata per la vita.
Per introdurre il Vangelo del giorno Francesco fa una piccola digressione: «Domenica scorsa la liturgia ci aveva proposto l’episodio della sinagoga di Nazareth, dove Gesù legge un passo del profeta Isaia e alla fine rivela che quelle parole si compiono “oggi”, in Lui. […] Il Vangelo di oggi (cfr Lc 4,21-30)», asserisce il Papa, «è la prosecuzione di quel racconto e ci mostra lo stupore dei suoi concittadini nel vedere che uno del loro paese, “il figlio di Giuseppe” (Lc 4,22), pretende di essere il Cristo, l’inviato del Padre».
Stupore che, presto, diventa incomprensione («Gesù, con la sua capacità di penetrare le menti e i cuori, capisce subito che cosa pensano i suoi compaesani. Essi ritengono che, essendo Lui uno di loro, debba dimostrare questa sua strana “pretesa” facendo dei miracoli lì, a Nazareth, come ha fatto nei paesi vicini (cfr v. 23). Ma Gesù non vuole e non può accettare questa logica, perché non corrisponde al piano di Dio: Dio vuole la fede, loro vogliono i miracoli, i segni; Dio vuole salvare tutti, e loro vogliono un Messia a proprio vantaggio»), per poi trasformarsi in vero e proprio rifiuto. «[…] i cittadini di Nazareth si ribellano, e addirittura assumono un atteggiamento aggressivo, che degenera al punto che “si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero sul ciglio del monte […], per gettarlo giù” (Lc 4,29)».
Il Pontefice osserva che «Il duro rifiuto, però, non scoraggia Gesù, né arresta il cammino e la fecondità della sua azione profetica. Egli va avanti per la sua strada (Lc 4,30), confidando nell’amore del Padre». E’ un avvertimento per i Paesi di antica cristianità, tentati di trasformarsi in tante Nazareth: Dio continua imperterrito a predicare e a trasmettere la Sua grazia. Ma è forse anche una chiave di lettura, fornita dallo stesso Papa prima che parta, del viaggio nella penisola araba: proprio lì dove storicamente si è manifestato uno dei più violenti rifiuti nei confronti della parola del Vangelo sta germogliando una piccola, ma tenace Chiesa locale. «Preghiamo», allora, «Maria Santissima, perché possiamo crescere e camminare nello stesso ardore apostolico per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù», che prosegue, instancabile, sulle orme del Suo corpo mistico, la Chiesa stessa.
Lunedì, 4 febbraio 2019