Nella basilica di santa Caterina d’Alessandria l’apparato iconografico, ricco e raffinato, è capace di rivolgersi come fosse un sussidiario pubblico, al popolo più semplice. Come una “biblia pauperum” i cicli pittorici narrano al popolo la storia dell’amore di Dio per l’uomo.
di Francesca Morselli
Seppure sempre più condizionati da una visione mainstream della storia dell’arte che privilegia ideologicamente tutto ciò che parte dal periodo rinascimentale in poi, il “senso comune” di ognuno di noi non può smettere di stupirsi di fronte a certe testimonianze del periodo medievale che smentiscono di fatto ogni trito pregiudizio ancora diffuso sui “secoli bui”.
L’occasione che ha stimolato questa ricorrente ma mai inutile riflessione mi è stata data dall’incontro, fortuito e fortunato, di un gioiello, un po’ dimenticato ma importantissimo, che corona insieme a moltissimo altro una delle regioni più ricche del Sud d’Italia: la Puglia.
Fuori dai percorsi principali degli itinerari turistici più battuti, a Galatina in provincia di Lecce, una cittadina, che già di per se meriterebbe ben altro rango nella classifica dei borghi storico-artistici italiani, si staglia un monumento architettonico e pittorico eccezionale: la basilica di santa Caterina d’Alessandria. Una basilica romanico-gotica (1300-1400) che, per la vastità dei cicli pittorici dei suoi affreschi, è seconda solo alla basilica di San Francesco d’Assisi.
La basilica di Galatina non è stata deturpata dalle molte modifiche che normalmente subiscono gli edifici medievali, conservando nella sua facciata principale quella sobrietà, quella raffinata essenzialità tipica del romanico pugliese, che unisce al romanico anche il gusto bizantino e normanno. Tale semplicità di linee e decori accoglie l’osservatore per prepararlo, in una sorta di passaggio spirituale ed emotivo, allo stupore per la bellezza e il mistero che lo avvolgerà al suo interno.
La facciata è ricamata con tre portali splendidamente ornati da intagli in pietra leccese, al centro il tipico e magnifico rosone che illumina morbidamente l’interno.
Un interno di una complessità, raffinatezza, arditezza ed armonia, difficilmente immaginabili dall’esterno e che inducono naturalmente a rallentare il ritmo della visita e alla contemplazione. Cinque navate ricchissime di decorazioni e affreschi coloratissimi di ogni tipo, terminanti tutte con un’abside. La navata centrale, lunga 50 metri, dalla porta al coro, si slancia verso l’alto con un gioco di proporzioni perfette fra spessori, altezze e larghezze, conservando una leggerezza sorprendente a dispetto dell’imponente dimensione e pur sovrastando di molto le navate laterali minori.
Oltre all’architettura ciò che sorprende è l’esplosione di immagini e colori da cui si viene letteralmente rapiti per la vividezza delle tinte e la dovizia di dettagli delle immagini e dei personaggi ovunque raffigurati: pareti, pilastri, archivolti e volte completamente affrescati in diversi cicli pittorici che si svolgono in una narrazione a “nastro” leggibile come scorrendo un a moderna proiezione cinematografica. Alcuni cenni: partendo dall’ingresso centrale e procedendo verso l’abside troviamo il ciclo dell’Apocalisse, sulle pareti e sulla volta della prima campata; il ciclo della Genesi, sulle pareti della seconda campata; il ciclo ecclesiologico, sulla volta della seconda campata; il ciclo cristologico, sulle pareti della terza campata; il ciclo angelologico, sulla volta della terza campata; il ciclo agiografico (dedicato ai santi), soprattutto sulle pareti e sulla volta del presbiterio, ma anche altrove, sparso un po’ in tutta la chiesa; il ciclo mariologico, soprattutto sulla volta e sulle pareti della navata minore destra ed anche, un po’, in tutta la chiesa. A questi cicli di affreschi, occorre aggiungere la rappresentazione delle Virtù (le quattro cardinali, le tre teologali più la Pazienza), tutte nelle vele della prima campata.
Una ricchezza immensa; in tutti questi affreschi si sente quasi un’eco della lezione francescana del Poverello d’Assisi: la storia dell’uomo intesa come storia dell’Amore di Dio. Un apparato iconografico che ci appare espressione di una sapienza e di una cultura altissima, visionaria, ricca e raffinata ma che al tempo stesso era in grado di rivolgersi come un sussidiario pubblico, al popolo più semplice: la biblia pauperum. Qui, come pochi posti altrove nel mondo, si ha di questo efficacissimo modello di comunicazione pittorica, una esperienza plastica vivida ed emozionante che ci guida ad intuire quali vette di bellezza ha espresso, per quasi dieci secoli, il fiorire della civiltà cristiana romano germanica. Una esperienza da raccomandare perché più che mai anche in questo caso vale la slogan che “la meta vale certamente il viaggio”.
Sabato, 4 novembre 2023