In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole». (Lc 16,9-15)
Nel suo cammino verso Gerusalemme, Gesù curava la “riforma di vita” dei suoi discepoli (Lc 9,51-19,27). Insegnava loro innanzitutto di praticare l’amore verso Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e il prossimo come se stessi. Egli stesso dava forza a questo insegnamento con la testimonianza della sua vita di preghiera che alimentava il servizio totale alla volontà del Padre suo, tanto che veniva richiesto di fare apprendere loro il modo di pregare. La sua risposta è stata la magnifica preghiera del Padre Nostro e l’assicurazione dell’efficacia della preghiera insistente per ricevere il dono dello Spirito Santo, credere in Lui che vince il nemico della natura umana e non farsi disperdere e travolgere dalla sua cattiveria (11, 23ss). La preghiera dà il coraggio del distacco dai beni terreni, la fiducia nella Provvidenza e alimenta il desiderio della vera felicità nell’eterno convito del cielo (Lc 14,15). Per entrarvi bisogna aprirsi alla commovente misericordia di Dio Padre e farne umile e gioiosa esperienza (Lc 15).
Ma, a questo punto, Gesù insegna anche che occorre fare buon uso del denaro, altrimenti diventa “disonesta ricchezza”. Questa diventa onesta, per così dire, quando la si impiega a favore dei bisognosi che, grazie al sapiente aiuto della carità dei più abbienti, si convertono al Signore e, da veri amici, un giorno accoglieranno i loro benefattori nelle dimore eterne come leggiamo nella pagina evangelica di oggi. Era l’attaccamento al dio denaro a tarpare le ali al desiderio del giovane ricco di raggiungere la perfezione di Dio cercata invano con la semplice materiale pratica dei Comandamenti (Mt16,19-22). Anche i farisei avevano una falsa religiosità, formalistica e senza cuore. Perciò, attaccati com’erano al denaro, divoravano le case delle vedove (Mc 12,40) e meritavano soltanto l‘avvertimento da parte di Gesù della dura condanna. Infatti l’attaccamento al denaro ottunde la vista del cuore e impedisce al ricco di accorgersi dello stato di indigenza del povero Lazzaro che, dopo la penosa ingiustizia subita in questo mondo, sarà accolto da Abramo nel mondo dei giusti, lontano definitivamente dal luogo di tormento ove conduce l’avidità delle ricchezze materiali (Lc 16,19-29).
A riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica (1723) ribadisce con puntuale chiarezza la necessità di compiere le giuste scelte per avere la vera felicità riportando le illuminanti parole del beato Card. Henry Newman.
La beatitudine promessa ci pone di fronte a scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l’amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova né nella ricchezza o nel benessere, né nella gloria umana o nel potere, né in alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le scienze, le tecniche e le arti, né in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore.
«La ricchezza è la grande divinità del presente; alla ricchezza la moltitudine, tutta la massa degli uomini, tributa un omaggio istintivo. Per gli uomini il metro della felicità è la fortuna, e la fortuna è il metro dell’onorabilità. […] Tutto ciò deriva dalla convinzione che in forza della ricchezza tutto è possibile. La ricchezza è quindi uno degli idoli del nostro tempo, e un altro idolo è la notorietà. […] La notorietà, il fatto di essere conosciuti e di far parlare di sé nel mondo (ciò che si potrebbe chiamare fama da stampa), ha finito per essere considerata un bene in sé stessa, un bene sommo, un oggetto, anch’essa, di vera venerazione».
A questo punto sembra opportuno appropriarsi dell’insegnamento dell’Enciclica Caritas in Veritate (nn. 75 e 44) secondo cui, anche per la soluzione dei problemi del benessere terreno delle società attuali, la carità e non l’avidità favorisce anche la prosperità materiale. Al contrario, il peccato dell’attuale accaparramento tecnocratico, anche contro il rispetto della vita in tutte le sue fasi, è causa non secondaria della crisi economica in atto. Ne deriva il gravissimo problema della crisi sociologica che è soprattutto crisi antropologica, indice di sfiducia nel futuro e di stanchezza morale.