Di Anna Kondratova da La nuova Europa del 07/11/2023
Da quest’anno scolastico, il nuovo testo unificato di storia per i maturandi russi offre la rilettura della storia russo-sovietica celebrandone i fasti e smussandone i disastri. Fino ai nostri giorni, in modo da scagliarsi contro l’Occidente e l’Ucraina. Una grossa responsabilità per chi instilla odio e risentimento nelle giovani generazioni.C’è un missile in bella vista sulla copertina del nuovo manuale di storia per l’ultimo anno delle superiori, curato dall’ex ministro della cultura Medinskij (oggi presidente della Società storico-militare) e dal rettore dell’Istituto per le relazioni internazionali Torkunov.Nel dicembre 2022 Putin aveva dichiarato che la preparazione di nuovi testi scolastici di storia era «una questione di importanza nazionale», e che erano necessarie «conoscenze affidabili» per evitare che la gioventù russa fosse colpita da «attacchi informativi».Un manuale unico di storia ha una sua logica come strumento capace di dare linee-guida per approfondire i temi: per un paese vasto come la Federazione russa, a uno studente di Vladivostok potrebbe essere più utile approfondire la storia dei rapporti russo-asiatici, rispetto a un altro che vive a Kaliningrad. Ma il libro in questione non è un manuale di storia, è un libello ideologico destinato a giovani per i quali si ha evidentemente poca stima e per la cui educazione si crede possano bastare semplici slogan in stile Fattoria degli animali: «Quattro gambe buono, due gambe cattivo».È un testo che costringe i giovani che stanno per entrare nella società se non a pensare quello che vuole il regime, almeno ad accettarne pubblicamente le formulazioni, pena la bocciatura all’esame– ha commentato il pubblicista Andrej Kolesnikov. «È peggio che in Unione Sovietica: allora gli studenti non conoscevano altre interpretazioni della storia recente se non quella ufficiale (…). Ora, dopo tutto, abbiamo potuto vivere nel libero pensiero per un buon numero di anni».Il manuale rilegge la storia russo-sovietica che va dal 1945… ai mesi scorsi! – E già questa è una bizzarria, «è come se si dovesse scrivere il resoconto di una partita quando è stato giocato solo il primo tempo» – ha osservato il giornalista Anton Orech. Come ormai avviene da tempo, la «Russia» viene fatta coincidere con l’«URSS» («il nostro paese»), come se non ci fosse stata una cesura storico-politica.Per quanto riguarda gli anni dell’immediato dopoguerra, l’intento principale degli autori è quello di «smussare gli angoli vivi, abbassare il grado di tragicità della storia sovietica», ha osservato lo storico M. Edel’štejn: così i prigionieri di guerra rimpatriati furono «verificati» e «coloro che si erano macchiati di collaborazionismo con i nazisti furono condannati». Non si dice che finì male indiscriminatamente il 70-80% degli oltre 2 milioni di rimpatriati (Geller-Nekrič), e che mentre il massimo della pena per i reati ideologici saliva da 10 a 25 anni, alle popolazioni deportate fu proibito di tornare nei luoghi d’origine; solo in questo senso è vero che «i rappresentanti dei popoli evacuati durante la guerra continuarono a vivere in Kazachstan, in Asia Centrale e in altre regioni orientali del paese».Seguono «pagine di solite chiacchiere» sulla realizzazione dei piani quinquennali, sui progressi nello spazio, sui rendimenti della produzione, «come se fossero state copiate dai rapporti dei segretari generali ai plenum del Comitato Centrale del PCUS» – ha scritto V. Tichomirov sul portale ortodosso Stol.La descrizione del tardo stalinismo contiene non a caso suggestioni che devono servire come ammonimento per l’attualità: «Con l’intensificarsi della guerra fredda, le persone strettamente legate a personaggi pubblici e politici all’estero furono ritenute sospette»; poiché gli autori non aggiungono alcuna spiegazione, un ragazzo potrebbe concludere – per analogia con l’oggi – che i sospetti erano fondati. Stesso approccio poche righe sotto: «Tra il 1947 e il 1953 l’URSS ha intrapreso una campagna contro il cosmopolitismo o “servilismo verso l’Occidente”».Anche un’innocente didascalia può servire allo scopo: a pag. 40 sotto alla foto che ritrae l’inaugurazione, in Austria, di una statua «ai liberatori dal fascismo», si aggiunge che «oggi, gli atti di vandalismo contro questi monumenti non rappresentano solo l’oblio, ma anche il tradimento della memoria delle vittime del nazismo da parte delle attuali autorità di Polonia, Repubblica Ceca, Stati baltici, Ucraina e di altri paesi».Il nuovo manuale di storia: come instillare l’odio nei giovaniUn momento della presentazione del manuale. (da video TASS)Pasternak? Un buon traduttoreIl periodo del «disgelo» rappresenta un fenomeno da cui mettere in guardia gli studenti: è pericoloso parlare di giovani che diffondevano i propri scritti nel samizdat, o che si ritrovavano in piazza a leggere poesie contro il pensiero unico. Perciò tutto il processo di rinascita culturale informale viene minimizzato e ritagliato a dovere.Innanzitutto si annuncia che «nel 1960 fu definitivamente liquidata la Direzione generale dei campi di lavoro correttivo (GULag)», tacendo sul fatto che si trattò di una riorganizzazione e che i campi e le prigioni rimasero.La rinascita culturale che sfuggì di mano al regime viene presentata come un fenomeno ai limiti della legalità. Si veda ad esempio la figura di Pasternak, liquidato in tre righe come «poeta, scrittore, traduttore, autore di una delle migliori traduzioni di Shakespeare in russo»: «La pubblicazione in Occidente del romanzo Il dottor Živago e l’assegnazione del Premio Nobel misero fuorilegge lo scrittore. Nell’ottobre 1958, Pasternak fu espulso dall’Unione degli Scrittori. In questa situazione, trovò necessario rifiutare il Nobel».E sul famoso numero di Novyj Mir con l’Ivan Denisovič di Solženicyn, quello «dove c’è scritta tutta la verità»: «Un evento della vita pubblica fu l’uscita delle opere di A. Solženicyn Una giornata di Ivan Denisovič e La casa di Matrëna [sic!]». Perché fu importante non si capisce, ma l’importante è minimizzare e rimarcare che «fu subito chiaro che le numerose pubblicazioni “antistaliniane” erano in realtà una critica non solo a Stalin ma anche al sistema sovietico nel suo complesso. Pertanto, nei suoi discorsi, Chruščev richiamò l’attenzione degli scrittori sul fatto che “si tratta di un’attività molto pericolosa”».Il manuale unico ci tiene a ricordare che, accanto a queste opere «pericolose», «apparvero molte opere letterarie» che trasmettevano «l’ottimismo, il richiamo al mondo interiore e alla vita quotidiana dell’uomo sovietico». Difatti «una caratteristica della società sovietica degli anni ‘50 e ‘60 era l’ottimismo sociale», anche se poche righe sotto si ammette che «all’inizio e alla metà degli anni Sessanta, molti cittadini erano insoddisfatti dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari».Anche nei confronti del samizdat e del dissenso l’approccio è vago, riduttivo, quasi infastidito: «Dalla fine degli anni Cinquanta [in realtà il fenomeno nasce prima] iniziarono a essere pubblicate le prime riviste samizdat (ossia dattiloscritte [e già qui allo studente servirebbe una spiegazione: perché non erano stampate dalle tipografie?]), in cui venivano pubblicate le opere di giovani poeti, scrittori, storici». Per gli autori è l’occasione per mettere in guardia dagli agenti stranieri: «Nelle condizioni della guerra fredda, insieme al samizdat si diffuse il tamizdat, ovvero la pubblicazione di opere letterarie all’estero da parte di scrittori tramite sponsor stranieri. Questo fenomeno è stato attivamente utilizzato dall’Occidente per formare sentimenti critici nei circoli degli intellettuali».L’alternativa all’omologazione politico-culturale, la ricerca della verità e della bellezza, l’abbozzo di un «manifesto umano» che voleva sganciarsi dall’indottrinamento ideologico, vengono riassunti così: «A partire dall’estate del 1958, a Mosca cominciarono a svolgersi incontri di studenti, giovani poeti e scrittori presso il monumento a V. Majakovskij e аl Museo Politecnico, dove si ascoltavano poesie di nuovi autori e si tenevano discussioni letterarie». Come se si trattasse di un’ordinaria attività culturale svolta in un paese normale, senza il pericolo di venir espulsi dalle università o di finire in lager come accadde ai protagonisti di allora.Lo stesso vale per il fenomeno del dissenso: invece di apprezzare quei tentativi – ingenui finché si vuole – li si guarda con sospetto, come di iniziative al soldo di qualche «agente straniero» pronto a destabilizzare l’ordine costituito, sovietico allora e, per analogia, russo oggi. Si legge a pag. 138: «Nei circoli dell’intelligencija apparvero i cosiddetti dissidenti (persone che esprimevano il loro disaccordo con l’ideologia ufficiale). Tuttavia, il loro numero era esiguo e il movimento del dissenso non ebbe un’unica forma organizzativa o ideologica. I dissidenti erano strettamente “patrocinati” dall’Occidente perciò le loro attività erano sotto il controllo degli organi della sicurezza statale. Ciò fu importante anche alla luce della crescente minaccia del terrorismo, che all’estero era diventato un problema serio» – anche perché alcuni gruppi terroristici erano addestrati e ospitati proprio negli Stati «alleati» dell’URSS, e non erano certo dissidenti impegnati nella lotta per i diritti umani…«A metà degli anni ‘60 – leggiamo più avanti – emerse il movimento del dissenso. Singoli rappresentanti dell’intelligencija letteraria e tecnico-scientifica si espressero sempre più apertamente con slogan a favore dei diritti umani e con appelli alla “rinascita” nazionale o religiosa. Allo stesso tempo, non cercavano di prendere il potere o di partecipare direttamente alla vita politica: al contrario, si ispiravano all’idea della necessità di proteggere i diritti e le libertà dell’individuo dall’ingerenza dello Stato», e fin qui ci sembrano righe addirittura scappate di mano a Medinskij & C.; subito dopo però si conclude che «nel far questo, le loro attività erano attivamente pubblicizzate e sostenute all’estero». «Nonostante l’ampia gamma di scelte ideologiche, ciò che accomunava i gruppi del dissenso era il rifiuto dell’ordine sovietico e il desiderio di assicurarsi il sostegno in Occidente». «Alcuni esponenti della cultura, in disaccordo con le restrizioni della censura, emigrarono [spontaneamente?] in Occidente nella speranza di trovarvi la “libertà creativa”».manuali storia(Vkontakte)Ogni epoca ha il suo caro leaderI leader sovietici che «piacciono» agli autori sono quelli che hanno mostrato maggiormente i muscoli contro l’Occidente – innanzitutto Stalin: mentre nel 1953 «molti giornali e riviste filoamericani hanno etichettato il defunto leader come un tiranno, un dittatore», «per la popolazione era il simbolo delle vittorie dell’URSS, e l’autorità del leader era indiscutibile» – il plauso e l’appoggio della maggioranza, come oggi.Chruščev, rispetto al generalissimo, appare una figura di secondo piano, anche se la maggior parte delle conquiste descritte avvenne proprio durante i suoi anni.Brežnev è un altro favorito: «Persona socievole e amichevole» che «tendeva a farsi in quattro quando qualcuno gli chiedeva aiuto e sostegno» – ecco spiegato l’«aiuto fraterno» ai cecoslovacchi… Citando un passo dello storico nazionalista sovietico Semanov, gli studenti imparano che Leonid Il’íč «non era un personaggio chiuso e asociale come Lenin, gli era completamente estranea la brutalità di Stalin. Non cadde nell’isteria come Chruščev, e soprattutto non era affatto incline all’ubriachezza» – a questo proposito basterebbe riascoltare alcune registrazioni degli auguri di Capodanno ai bambini, passate alla storia. «I suoi compiti principali furono quelli di preservare la pace e garantire la crescita della prosperità del popolo sovietico».Tuttavia la pace fu turbata non poco nei paesi «alleati». Già sappiamo dalla cronologia che tra il 1945 e il 1949 vi furono «vittorie delle rivoluzioni democratiche popolari nei paesi dell’Est Europa». Poi però ci fu il pasticcio: nel giugno 1956 «in Polonia iniziarono manifestazioni e scioperi [per quale motivo?]. Di conseguenza la leadership del paese cambiò».Anche in Ungheria le cose non andarono meglio: «I manifestanti criticarono la leadership e il suo orientamento filosovietico, chiedendo il ritiro dell’Ungheria dal Patto di Varsavia. Ritenendo a ragione che la crisi ungherese fosse catalizzata dalle azioni dei servizi segreti occidentali e dall’opposizione interna da essi sostenuta, l’URSS fece intervenire le truppe in Ungheria e aiutò le autorità ungheresi a reprimere le proteste».Intanto «il territorio di Berlino Ovest controllato dagli Stati Uniti divenne un centro di sovversione economica e politica: i danni all’economia della Germania Est ammontavano a centinaia di milioni di marchi, qualsiasi provocazione avrebbe potuto portare a uno scontro militare», tanto più che «la Seconda guerra mondiale non era ancora finita, ma gli Stati Uniti stavano già sviluppando piani per invadere l’URSS e bombardare le città sovietiche con armi nucleari». Per questo fu costruito il famigerato Muro, non tanto perché scappavano tutti all’Ovest.Infine in Polonia nel 1980 «iniziarono proteste operaie di massa che portarono alla formazione del sindacato indipendente Solidarność. Si trattava di un’organizzazione di massa “dal basso” [questa non fu «rivoluzione democratica»?] e diventata una sfida politica alle autorità statali. Nel 1981, il governo guidato da W. Jaruzelski fu costretto a imporre la legge marziale».Dal punto di vista della neolingua, infatti, anche i box cronologici sono molto significativi: secondo il manuale, nel 1968 ci fu «l’ingresso delle truppe del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia», nel 1964-73 l’«aggressione americana in Vietnam», nel 1979 di nuovo un «ingresso delle truppe sovietiche» in Afghanistan mentre nell’83 l’«invasione militare statunitense a Grenada»; se nel 1990 vi fu l’«annessione» della Germania Est alla RFT, nel 2008 la Russia fece un’«operazione militare per costringere la Georgia alla pace».Gorbačev, un incapace…Con l’entrata in scena di Gorbačev e dei suoi successori, e l’apertura al mondo «occidentale», inizia per gli estensori del manuale il declino del paese, perché «il crollo dell’URSS è stato la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo». «La politica della perestrojka avviata da Gorbačev è stata caratterizzata da incoerenza e alla fine ha condotto al crollo dell’URSS», in quanto il leader «era poco portato ai problemi dell’industria, dell’esercito, del comparto militare-industriale e aveva una scarsa comprensione delle questioni di politica estera».«Sullo sfondo di un grave declino del tenore di vita e di crescenti difficoltà interne, la mentalità pubblica si stava gradualmente spostando verso il rifiuto del socialismo e del sistema sovietico. Naturalmente, tali giudizi sono stati incoraggiati dall’estero. L’Occidente vedeva negli eventi che si stavano verificando in Unione Sovietica un’occasione storica per eliminare il suo principale rivale geopolitico».Il manuale ricorda che in quegli anni poterono uscire opere di autori precedentemente messi al bando come Bulgakov, Rybakov, Grossman, e che «ritornarono al lettore» i lavori dei grandi filosofi Berdjaev, Solov’ev, ecc. nonché le opere dell’emigrazione, ma al contempo sottolinea che «nelle condizioni in cui tutte le restrizioni alla censura furono rimosse e lo Stato si ritirò effettivamente dal controllo dei mezzi di comunicazione di massa, una valanga di informazioni distruttive e ostili, presentata come “libertà di parola”, si abbatté sui cittadini dell’URSS». Per analogia, può pensare lo studente, «meno male» che oggi esiste un organismo di controllo sui media.…Il ritiro, dall’89, delle truppe sovietiche di occupazione dall’Europa orientale e centrale è definita «decisione particolarmente sconsiderata, poiché l’indebolimento della presenza militare sovietica nei paesi alleati provocò una forte intensificazione dei sentimenti nazionalisti e antisovietici. L’Occidente collettivo ne approfittò». «Così, le forze salite al potere nei paesi del campo socialista come ad un segnale, hanno invocato un cambiamento radicale e rapido del modello di sviluppo sociale».Putin ci ha salvati dall’inferno degli anni ‘90La seconda parte del manuale è dedicata alla storia della Federazione russa tra il 1992 e il 2022. Gli anni di El’cin e dei suoi ministri sono descritti come il culmine dell’incompetenza economico-politica che ha portato alla disoccupazione, alla corruzione, all’ingresso dei capitali stranieri, alla privatizzazione e agli oligarchi.Nel frattempo cresce pagina dopo pagina l’indignazione verso l’Occidente che protende i suoi artigli verso la Russia facendo leva sugli ex-Stati sovietici, in primis i Baltici e l’Ucraina, i cui programmi scolastici «iniziarono a glorificare i collaborazionisti e i criminali di guerra».A pag. 321 inizia la linea ucrainofoba che culminerà nell’ultima parte: «Kiev, istigata dall’Occidente e dai politici anti-russi delle regioni occidentali, ha preso sempre più le distanze da Mosca. La cooperazione e il buon vicinato tra Russia e Ucraina, reciprocamente vantaggiosi, erano in contrasto con gli interessi a lungo termine dell’Occidente». Inoltre «l’Occidente ha sostenuto attivamente i conflitti interni al territorio russo e ha cercato di indebolire la capacità difensiva della Russia», che ha dovuto affrontare sfide difficili: «L’espansione verso Est della NATO, la diffusione del neonazismo e della russofobia nei paesi vicini, l’instaurazione di regimi anti-russi in alcuni paesi confinanti».manuale storiaLa pagina che celebra l’entrata in scena di Putin.Su un’intera pagina del manuale fa la sua comparsa il neoeletto (2000) presidente Vladimir Putin. La cronologia ci ricorda con eleganza linguistica che poi è stato rieletto «come capo di Stato nel 2004, nel 2012 e nel 2018». «Io provengo da una famiglia semplice – leggiamo nell’autocitazione, – (…) Ho vissuto come una persona normale, ordinaria», in sostanza come tutti quelli che hanno servito per un ventennio (1977-1991) nel KGB e hanno diretto l’FSB.«L’intera era post-sovietica – riassume Kolesnikov – è stata un inferno senza limiti. Ma solo fino a quando Putin non è salito sul ponte di comando. In effetti, l’intera storia è stata costruita su misura per lui, che ha restituito prosperità e grandezza al paese». Le misure adottate sotto la sua guida «hanno contribuito alla rinascita e al progressivo sviluppo socio-economico della Russia», e «sono state sostenute dalla maggioranza assoluta della popolazione».Dopo la stagnazione e la perestrojka ecco la nuova parola magica: stabilizzazione del sistema politico, stabilità del paese.Ma gli USA e i suoi alleati mirano «cinicamente» a distruggere l’idillio, il loro obiettivo è quello di «creare caos e instabilità lungo il perimetro dei nostri confini». Purtroppo «il desiderio della Russia di perseguire una politica estera sovrana e indipendente ha provocato una reazione ostile da parte dei paesi occidentali, in primis gli Stati Uniti».Un manuale d’odioLa sindrome di Calimero continua, e il sorprendente libro di testo smette di parlare di storia russa per dedicarsi alla rilettura di quella ucraina contemporanea (non per niente in copertina c’è anche la silhouette del ponte di Kerč). Le ultime 20 pagine sono infatti un distillato di risentimento e odio innanzitutto verso l’Ucraina, poi verso gli Stati baltici e l’Occidente.Per coinvolgere emotivamente lo studente si torna al «noi» con ampollosità retorica. Così lo smantellamento di statue che ricordano l’Armata Rossa – avvenuto dopo l’escalation militare russa contro l’Ucraina – fa esclamare: «È così che l’Occidente “fa la guerra” a chi non è più in grado di badare a se stesso, i morti. Agli alleati morti. Quelli che sono morti per liberare quei paesi».Interi paragrafi sono dedicati alla «rinascita del nazismo», e a spiegare che quello ucraino non è «il nazionalsocialismo germanico», bensì «la violenza nazionale, linguistica e culturale di una minoranza aggressiva nei confronti della maggioranza». E dopo aver ribadito che «in passato, per “Ucraina” si intendeva solitamente la periferia [okraina] di qualcosa», «è stato nel 2014 che è iniziata una guerra sanguinosa: volontari provenienti dalla Crimea e da altre regioni del nostro paese hanno iniziato a unirsi alle milizie locali. Si è ripetuta la situazione dell’epoca di Alessandro II, quando durante la rivolta degli slavi meridionali contro l’impero ottomano, gli ufficiali russi presero congedo e si recarono nei Balcani per aiutare i loro fratelli slavi. Nessuno poté trattenere i volontari».Perciò «il 24 febbraio 2022 il presidente russo ha annunciato l’inizio dell’Operazione militare speciale, il cui obiettivo è proteggere il Donbass e garantire la sicurezza basilare della Russia».Da parte sua «l’Occidente ha inondato il regime ucraino di denaro e armi e alla Russia sono state imposte sanzioni senza precedenti. L’Occidente sta cercando in tutti i modi di affossare l’economia russa. Tutte queste cosiddette sanzioni – è importante capirlo – sono assolutamente illegali», tanto quanto l’aggressione a un paese sovrano.Ma la «Russia è un paese di eroi»: per questo gli studenti vengono incoraggiati a «non perdere l’occasione» della partenza di molte aziende straniere per buttarsi nel mercato autarchico.Il finale è un tripudio patriottico, da leggere al suono dell’inno nazionale (il cui testo «è stato musicato su quello sovietico, che agli occhi della maggioranza della popolazione simboleggiava la continuità della storia nazionale»): «Ciò che la Russia ha da sempre, e sempre possederà è il valore civico, la dignità, l’onore, la fedeltà al giuramento dei nostri militari e volontari, dei medici, degli insegnanti, dei costruttori. Sono loro gli eroi reali, non fittizi, del nostro tempo, quelli che abbiamo accanto, in mezzo a noi. Sono un esempio dell’onore, del coraggio e della fede nella giustezza della nostra causa. I loro nomi, le loro imprese quotidiane si uniscono nella cronaca millenaria della storia russa alle gesta di milioni di eroici predecessori. È sempre stato così nella storia della nostra patria. E così sarà, per sempre».Per lo storico Konstantin Pachaljuk, autore di un altro manuale di storia, da questo testo emergono da un lato la paura di conoscere la propria storia, e dall’altro la necessità che il popolo ami lo Stato senza critiche, perciò «eviteremo ogni conflitto e contraddizione inventando qualcosa di patriottico e che sembri avere un consenso, (…) un mondo virtuale in cui questo stato di cose sia in qualche modo giustificato».«La guerra finirà – conclude Portnikov, – ma l’odio rimarrà a lungo, molto a lungo, finché le nuove generazioni di russi e ucraini non inizieranno a imparare la stessa storia, una storia in cui non ci sarà posto per la propaganda e le bugie. Ecco perché questo libro, che getta le basi per guerre e conflitti futuri, che condanna le prossime generazioni alla morte e alla sofferenza è, ne sono certo, un autentico manuale di immoralità».