Da Il Cattolico del 08/11/2023
“Certamente non possiamo ignorare il mondo, e quindi è sbagliato rifugiarsi nel passato, ma non dobbiamo mai dimenticare che siamo nel mondo ma non del mondo (Gv. 17,14). Non possiamo sovvertire la tradizione dottrinale e morale della Chiesa per piacere al mondo. Guardiamo alla Croce di Cristo, gloriosa sì, ma pur sempre una Croce”, afferma il cardinale Agostino Marchetto, segretario emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Nunzio apostolico, è da tempo uno studioso del Concilio Vaticano II.Il documento di sintesi del Sinodo sulla sinodalità solleva la possibilità di consentire una maggiore partecipazione delle donne nei ruoli decisionali della Chiesa, rivelando che la questione del diaconato femminile genera opinioni diverse. Alcuni lo considerano inaccettabile e in discontinuità con la tradizione. Lo abbiamo chiesto al cardinale Marchetto:Come interpreta questa domanda in relazione alla tradizione della Chiesa e quale pensa debba essere la strada da seguire?Lei parla di un percorso da seguire mettendo a fuoco nel “documento di sintesi” la possibilità di consentire una maggiore partecipazione delle donne ai ruoli decisionali all’interno della Chiesa, rilevando che il tema del diaconato femminile suscita opinioni diverse. Credo che il percorso da seguire, secondo la sua domanda, sia proprio quello di continuare a distinguere le due questioni. Perché la prima non è necessariamente legata all’amministrazione di un sacramento, sia pure il primo gradino, in quello dell’ordine sacro, del diaconato. E finanche, a mio umile giudizio, la sacra potestas di giurisdizione può essere delegata, da Chi la possiede in pienezza (il Sommo Pontefice), qualcuno la definisce vicaria, in certi casi, come è avvenuto proprio per questa ultima sessione del Sinodo, diciamo sulla sinodalità, (con la concessione del voto).Altra è invece la questione del diaconato femminile per cui lo studio al riguardo della sua concessione alle donne nella storia della Chiesa è soggetto ad analisi, a dibattito anche scientifico. Il Papa ha concesso un altro anno per procedervi. Ma certo ricordo quanto Egli diceva, ormai tanti anni fa, richiamando un suo approfondimento di dialogo con un noto teologo-storico di una Chiesa orientale cattolica molto stimato e scientificamente agguerrito, che attestava la non emergenza di un tale titolo come gradino sacramentale per le donne.Nel documento di sintesi, il riferimento alla nomenclatura LGTB utilizzata nel documento di lavoro è stato completamente eliminato, optando invece per parlare di “alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale”. Come interpreta questo cambiamento di linguaggio e di approccio alla discussione di questi temi?Nel “documento di sintesi” l’omissione della dizione “LGTB” mi riporta alla mente la protesta di molti a tale introduzione in un precedente documento di riferimento ecclesiale. Ciò, per essi significava una accettazione di nomenclatura che era illegittima, per la vastità che vi soggiaceva. Mi pare che questa volta, giustamente, a mio parere, si tiene conto di quella tale obiezione e si cambia dizione.Qual è la sua prospettiva sull’opportunità teologica del celibato in relazione al ministero sacerdotale e se ritiene che debba essere mantenuto come obbligo disciplinare nella Chiesa latina?Per il celibato sacerdotale mi sia permesso richiamare un inquadramento storico che feci su “Le origine apostoliche del celibato sacerdotale” degli anni ’80, nel mio volume “Chiesa e Papato nella storia e nel diritto. 25 anni di studi critici”, L.E.V. p. 137- 142. E’ in fondo la storia di un grande impegno di difenderlo, il celibato, più che di imporlo. A me, storico della continuità e non della rottura di qualcosa, o meglio di uno stile di vita e di amore sponsale ecclesiale, ben oltre un obbligo disciplinare nella Chiesa, non si chiederà -credo- di appoggiare coloro che desiderano non sia mantenuto nella Chiesa latina. Del resto mi sento in buona compagnia per quanto dichiarato da Papa Francesco che Lui non lo farà.In passato, lei ha sottolineato l’importanza del dialogo interno alla Chiesa. Quali consigli può offrire per promuovere un dialogo costruttivo e rispettoso tra i diversi membri della Chiesa, specialmente su questioni controverse come quelle sollevate al Sinodo 2023, comprese le questioni meno votate alla 16a Assemblea, come il diaconato femminile, il celibato dei sacerdoti e le questioni relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale?Devo aggiungere alla domanda “non solo in passato” perché proprio nei giorni scorsi è uscito un mio contributo a favore del dialogo intraecclesiale, steso con Federico Arcelli, presso Rubbettino, dal titolo “DIALOGO. Riflessioni aperte in una fase di transizione”. Ne abbiamo curato già la traduzione in lingua inglese, sull’onda del precedente saggio, sullo stesso tema, indicato come “RIFLESSIONI per un dialogo intraecclesiale”. Il Titolo in inglese è “COMMUNION”. Buona lettura.