Di Micol Flammini da Il Foglio del 13/12/2023
Tallinn, dalla nostra inviata. Ci sono due bandiere enormi a piazza della Libertà, sembrano abbracciarsi, anche se come colori fanno a pugni. Sono lì da ventidue mesi, sono lì da seicentocinquantasette giorni: continuano a rimanere impassibili, l’una accanto all’altra in questo spazio che Tallinn ha consacrato alla storia della sua resistenza contro ogni occupante, nazista o sovietico. Non c’è stanchezza nella capitale dell’Estonia sotto l’abbraccio della bandiera ucraina e di quella estone, i giorni dall’inizio dell’invasione russa si contano tutti, ma finora il paese baltico non ha fatto un passo indietro e ha deciso di destinare l’uno per cento del suo pil per la Difesa al sostegno dell’Ucraina.
E’ visto come un ottimo investimento, il migliore e più duraturo per prevenire un attacco della Russia contro l’Estonia. In tutto, Tallinn ha indirizzato alla Difesa il 2,8 per cento del pil durante il 2023, il prossimo anno arriverà al 3 per cento e gli ambienti militari continuano a dire che non basta: lo dicono come scherzo, ma sostengono che per mettere davvero in sicurezza il paese bisognerebbe portare la somma al dieci per cento per difendersi dalla minaccia distesa lungo il confine di duecentonovantaquattro chilometri che la nazione condivide con Mosca. Un attacco non è visto come improbabile e la concezione russa del suo rapporto con l’occidente è talmente mutata che neppure la sola appartenenza alla Nato basta a fare da deterrente. Tutto adesso ruota attorno a Kyiv e alla consapevolezza che al Cremlino per iniziare una guerra più estesa non serve neppure vincere contro l’Ucraina. Basterebbe uno stallo, una tregua, una pausa che immobilizzi il fronte ucraino e che nel giro di qualche anno porti a una riorganizzazione di Mosca su altri fronti. Sostenere Kyiv, quindi non è una mera questione di solidarietà, è una necessità. Non è una comunione tra paesi che hanno condiviso l’oppressione sovietica, non è pietismo, ha a che fare invece con la propria sicurezza. E, se si allarga la visuale, non è difficile capire che la sicurezza non riguarda soltanto Tallinn o Kyiv, ma tutta l’Alleanza atlantica e tutta l’Unione europea.
Alla vigilia del Consiglio europeo di giovedì e venerdì, in cui i capi di stato e di governo dei paesi membri dovranno pronunciarsi sulla futura adesione dell’Ucraina all’Ue, per Tallinn è chiaro che a Bruxelles c’è il rischio di un grande fallimento che ha poco a che fare con un messaggio di speranza da inviare a Kyiv, ma riguarda piuttosto il modo in cui la nostra unione intende pensarsi nei prossimi anni. Aprire ai negoziati per l’ingresso dell’Ucraina non è un riconoscimento o una speranza per un paese in guerra, resistente e ferito, è una dichiarazione di intenti da parte di Bruxelles che tramite la sua decisione comunicherà al mondo e alla Russia cosa ha scelto di diventare in futuro. Giovedì e venerdì, l’Unione europea dipingerà il proprio autoritratto e la paura che Tallinn non si senta rappresentata nei tratti di questo nuovo volto europeo è alta. Se l’orgoglio europeista rimane alto, ma fa arrabbiare in questo paese che si sente confine e non si è mai percepito davvero in pace, la fede nella Nato è incrollabile, ma comunque si teme che un ritorno di Donald Trump negli Stati Uniti possa compromettere la forza dell’Alleanza. Per questo, secondo l’Estonia, negli anni della presidenza di Joe Biden, dopo la confortevole certezza del ritorno dell’alleanza con gli Stati Uniti, l’Ue ha perso l’occasione per continuare a lavorare sulla propria difesa, sullo sviluppo complesso di una propria autonomia. Tallinn di tempo ne ha perso poco, non si è mai sentita davvero sicura, soprattutto dopo l’arrivo di Vladimir Putin al Cremlino, e ha curato nei dettagli il suo esercito. E’ uno dei pochi paesi europei che non hanno mai abolito la leva obbligatoria, si è ispirata alla Finlandia – altro paese che non ha rinunciato al servizio militare per tutta la popolazione – e molto anche a Israele. Da Tallinn hanno osservato come dopo il 7 ottobre, Israele abbia mobilitato trecentomila riservisti in 48 ore, e l’Estonia ha una struttura di difesa permanente predisposta a rispondere con altrettanta prontezza a un attacco, anche se con un numero inferiore di riservisti, circa quarantamila: tutto va commisurato con la popolazione, che in Israele è di oltre 9 milioni di persone e in Estonia poco più di un milione. Le democrazie in stato di allerta permanente si assomigliano tutte, si capiscono, anche a distanza.
Sentirsi stanchi qui è impossibile e non c’entra nulla con una forma di assistenzialismo all’Ucraina, con la sofferenza di un popolo vicino che tutti sentono, non è questo il motore principale delle scelte di Tallinn. C’entra con la conoscenza approfondita del vicino che nessuno si sceglie. L’Estonia studia da anni la Russia, ci combatte da secoli, sa che fa piani a lungo a termine e ha appena cominciato.