Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette (Giovanni 20,2-8).
Subito dopo la consacrazione, la Liturgia fa esclamare: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta». Questa non deve restare solo una formula liturgica. Quello che si dice nella Liturgia deve essere fatto nella vita: dobbiamo proclamare la Risurrezione di Cristo.
Il santo più amato nell’Oriente ortodosso è Serafino di Sarov (1759-1833), che dopo aver trascorso una decina d’anni in un bosco, senza pronunciare una sola parola, neppure con il fratello che di tanto in tanto gli portava del cibo, al termine di questo lungo silenzio sarebbe stato mandato da Dio in mezzo agli uomini e, alle persone che accorrevano sempre più numerose al suo monastero, andava incontro dicendo con grande trasporto: «Gioia mia, Cristo è risorto!». Si dice che questa semplice parola, pronunciata da lui, bastava a cambiare il cuore di quella persona e il mondo intorno a lei, e che la sua voce aveva il timbro di quella di un angelo.
Noi non potremmo rivolgerci a chiunque incontriamo con il saluto «Gioia mia»: è sicuramente troppo confidenziale. Potremmo però dire a qualcuno: «Fratello, o sorella, Cristo è risorto!». Questo è il saluto che rivolgono i fratelli ortodossi, incontrandosi a Pasqua; a esso l’altro risponde: «È risorto in verità!». Se non possiamo dirlo a parole, diciamolo con gli occhi e con il volto. «Ogni laico – ha ricordato il Concilio Vaticano II – deve essere davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù» (Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 38).